Sabato, 21 Dicembre 2024 17:38
Maria Mingione

Maria Mingione

L'applicazione della TARI sulle aree scoperte ha comportato dubbi applicativi fin dall’istituzione
del tributo, dovuti principalmente alle perplessità circa la sussistenza del presupposto impositivo (la
potenziale produzione di rifiuti) in relazione alla natura del cespite (l’area scoperta).
Il Legislatore stabilisce che il presupposto applicativo della TARI è il possesso o la detenzione di
locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti, specificando nella norma i casi estromessi dalla
tassazione: aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni
condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via
esclusiva. Ne deriva che sono soggette alla TARI tutte le aree scoperte ad eccezione di quelle
escluse dalla norma a prescindere dal fatto che in concreto esse producano effettivamente rifiuti o
meno.
Posto quanto sopra sull’applicabilità generale del tributo ad ogni immobile che sia destinato alla
produzione di rifiuti e, definite le aree scoperte pertinenziali o accessorie, al fine della trattazione è
utile introdurre il concetto di distinzione tra: aree di parcheggio che costituiscono aree operative,
ovvero finalizzate alla vendita oppure allo stoccaggio delle merci, tassabili, in quanto su di esse si
volge una fase dell’attività propria dell’imprenditore; aree di parcheggio pertinenziali o accessorie a
determinate aree, non operative, finalizzate ad accogliere a titolo gratuito le autovetture del
personale o della clientela.
La giurisprudenza, più volte chiamata in causa, ha affermato la tassabilità delle predette aree
scoperte destinate a parcheggio. Con la sentenza n.19631 del 16 luglio 2024 la Sezione Tributaria
della Corte di Cassazione, ha ribadito la debenza della tassa sui rifiuti per le aree adibite a
parcheggio dei centri commerciali.
Nel caso di specie la società della grande distribuzione Cash & Carry chiedeva di pagare la Tari
solo sulle aree in cui venivano realmente prodotti rifiuti (ricevimento merci, reparto ortofrutta,
macelleria, pescheria ed uffici) ma non sugli ampi parcheggi che circondavano la struttura. Secondo
l’ente impositore, invece, le aree di sosta e gli spazi di logistica andavano considerati operativi a
tutti gli effetti.
Il Collegio di prime cure, pronunciandosi nel merito e ritenendo fondato il motivo di gravame
sollevato dalla contribuente, annullava l’atto impugnato.
Il Comune presentava appello che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia la quale, condividendo la tesi della contribuente, affermava che l’imposizione andava
esclusa poiché si trattava di superfici accessorie e pertinenziali, e quindi non operative, e dunque
non produttive di rifiuti, se non in misura insignificante.
La sentenza di secondo grado veniva impugnata dall’ente locale con Ricorso per Cassazione.
I giudici di legittimità hanno avuto cura di precisare che la tari è dovuta anche per i parcheggi
“trattandosi di aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via quantomeno
presuntiva, rimanendo a carico dell’utente l’onere di provare con apposita denuncia ed idonea
documentazione la sussistenza dei presupposti per l’esenzione”.
E’ necessario osservare che sia la pertinenzialità/accessorietà che la non operatività delle aree in
quanto situazioni di fatto, conseguenti ad una volontà, devono essere dichiarate e documentate dal
contribuente.
Nel caso di specie, spettava dunque alla società l’onere di dichiarare e fornire all’amministrazione
comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree in cui non venivano prodotti
rifiuti.
Il supremo Collegio, sottopone a tassazione l’area scoperta in quanto area operativa che, seppur
produttiva di rifiuti urbani in minima parte, è comunque utilizzata dalla società contribuente nel
contesto dell’esercizio della propria attività d ’impresa. E la decisione adottata non fa che allinearsi
alla chiara volontà del nostro legislatore di sottoporre ad imposizione anche le aree scoperte
variamente utilizzate, con la sola eccezione
delle aree pertinenziali improduttive di rifiuti perché non operative.

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L’atto di accertamento tributario emesso dall’Ente Impositore competente deve essere portato a
conoscenza del contribuente. Ai sensi dell’art. 21 bis L. n. 241/1990, applicabile agli atti tributari in
quanto atti amministrativi, il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista
efficacia, nei confronti di ciascun destinatario, con la comunicazione allo stesso effettuata.
Nel caso degli atti tributari detta comunicazione è svolta, ordinariamente, mediante il procedimento
di notifica.
La notificazione non è soltanto il modo in cui tale atto viene portato a conoscenza del destinatario,
ma la modalità con cui l’avviso di accertamento viene ad esistenza: l’atto d’imposizione, in tanto
esiste, ed esplica effetti, in quanto sia notificato.
La notifica degli atti tributari è disciplinata dagli articoli 137 e seguenti del C.p.c .e 60 Dpr n.
600/1973, a cui si richiama l’art. 16, comma. 2, del D.lgs n. 546/1992.
Il procedimento da seguire nell’attività di notificazione diretta a persone irreperibili è diverso a
seconda che si tratti di una situazione di irreperibilità assoluta, potremmo dire quasi definitiva,
rispetto alla fattispecie dell’irreperibilità relativa, o detta anche temporanea.
Le regole da seguire nell’ambito dell’irreperibilità assoluta sono declinate in seno all’art. 60 D.P.R.
600/73, mentre quelle riconducibili all’irreperibilità relativa trovano la fonte normativa nell’art. 140
C.P.C.
In tema di notificazione dell’avviso di accertamento (così come della cartella di pagamento) occorre
distinguere l’ipotesi della irreperibilità relativa del destinatario, che ricorre quando sia conosciuta la
residenza o l’indirizzo del destinatario il quale, non sia stato rinvenuto al momento della consegna
dell’atto, dall’ipotesi della irreperibilità assoluta che ricorre quando il notificatore non reperisca il
destinatario perché trasferito in luogo sconosciuto.
La Cassazione, con l’Ordinanza 21522/2022, ci ricorda come l’ufficiale giudiziario o il messo
notificatore debbano svolgere un ruolo attivo nell’ambito del processo di ricerche del contribuente
destinatario della notifica, al fine di comprendere esattamente se ci troviamo nell’ambito
dell’irreperibilità assoluta o di quella relativa, e la portata delle ricerche condotte deve emergere
dalla documentazione depositata dal soggetto notificatore a supporto del procedimento di notifica.
In materia di notifica degli atti tributari, nelle ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario,
occorre che si proceda secondo le disposizioni di cui all' art. 143 c.p.c. , con la conseguenza che il
messo notificatore deve svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente,
ossia che quest’ultimo non abbia più né l’abitazione, né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede
del proprio domicilio fiscale.
Viceversa nel caso di irreperibilità relativa del destinatario, deve ritenersi applicabile l'art. 140
c.p.c., con la conseguenza che, ai fini del perfezionamento della notifica, occorre che siano stati
effettuati tutti gli adempimenti ivi previsti, incluso l'inoltro al destinatario e l'effettiva ricezione
della raccomandata informativa del deposito dell'atto presso la casa comunale, non essendone
sufficiente la sola spedizione.
Al mancato perfezionamento del procedimento di notifica si collega, quindi, la necessità di
impugnare un atto successivo, per esempio la cartella esattoriale conseguente ad un avviso di
accertamento, per mancata notificazione dell’atto presupposto, ovvero l’avviso di accertamento
stesso non impugnato per mancata conoscenza e conoscibilità dello stesso.
Sul tema è recentemente tornata la Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza 24613/2024 del
19 settembre, la quale ha riaffermato un concetto fondamentale nel processo di notificazione e nella
sanatoria di eventuali inesattezze dello stesso, ex art. 156 c. 3 CPC. il quale recita “La nullità non
può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, con la conseguenza
che “se il contribuente mostra (tramite l’impugnazione dell’atto tributario) di aver avuto piena
conoscenza del contenuto dell’atto e ha potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa,
lo stesso contribuente non potrà, in via di principio, dedurre i vizi relativi alla notificazione a
sostegno di una domanda di annullamento”.

Il Supremo Consesso ha precisato che gli effetti ex tunc della sanatoria ex articolo 156
c.p.c. possono riguardare solamente il raggiungimento dello scopo dell’atto e non anche l’eventuale
intervenuta decadenza, la quale non potrà mai essere sanata, nemmeno dall’impugnazione dell’atto.

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Il 4 ottobre 2024 sono entrate in vigore le Disposizioni Nazionali Complementari al Codice
Doganale dell’Unione, introdotte dal Decreto Legislativo 26 settembre 2024, n. 141, pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 232 del 3 ottobre 2024.
Il Decreto Legislativo 141/2024 ha dato attuazione alla Legge Delega n. 111 del 9 agosto 2023
(Delega al Governo per la riforma fiscale) con la quale il Governo è stato delegato ad emanare,
anche in materia doganale, uno o più decreti legislativi.
Il testo abroga e sostituisce il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale
(TULD), approvato con il DPR 23 gennaio 1973, n. 43 e numerose altre leggi speciali, come il
Regio Decreto n. 65/1896 e il Decreto Legislativo 8 novembre 1990, n. 374, non più attuali,
riorganizzando il quadro di riferimento al fine di adeguare la normativa nazionale a quella europea.
Il D.lgs n. 219/2023 ha apportato sostanziali modifiche allo Statuto del contribuente e una delle più
importanti innovazioni ha riguardato l’istituto del “contraddittorio preventivo”, la cui disciplina è
contenuta nel nuovo art. 6-bis, in base al quale la fase di contraddittorio endoprocedimentale prende
avvio con l’invio, da parte dell’Ufficio, di uno schema dell’atto impositivo, che verosimilmente
costituisce una sorta di “anteprima” dell’atto accertativo vero e proprio che verrà poi emesso all’
esito della procedura amministrativa.
Dalla ricezione dello schema di atto, il Contribuente ha a disposizione un termine di 60 giorni per
presentare proprie controdeduzioni ed osservazioni ovvero per accedere ed estrarre copia degli atti
del fascicolo senza che possa essere formalizzato alcun atto di natura accertativa prima del decorso
del termine medesimo. Per consentire di godere a pieno delle tutele difensive sopra descritte, viene
prevista una proroga del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo nel caso in cui lo
stesso spirasse prima del decorso di un lasso di 120 giorni dal termine fissato per la produzione di
osservazioni assegnato al contribuente per l’esercizio del diritto al contraddittorio.
La normativa unionale recepisce il principio del contradditorio preventivo contenuto nella Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione che sancisce il diritto di ogni individuo a essere ascoltato, prima
che nei suoi confronti sia adottato un provvedimento individuale lesivo (art. 41).
La prima fase dell’accertamento doganale (che ha avvio di fatto con la presentazione della
dichiarazione doganale) ha quale obiettivo la verifica e la coerenza degli elementi doganali (qualità,
origine e valore) e si perfeziona con l’accettazione della dichiarazione doganale da parte
dell’Ufficio doganale competente.
La revisione dell’accertamento, invece, rappresenta una fase successiva dell’accertamento che può
trovare impulso sicuramente da parte dell’Ufficio accertatore, ma può scaturire anche da parte
dell’operatore stesso. Dunque, l’oggetto della revisione è una dichiarazione doganale già presentata,
accettata e registrata da parte dell’Ufficio doganale. Si tratta di una fase procedurale in cui si
provvede a rettificare una dichiarazione doganale già iscritta nei pubblici registri.
L’art. 8 Reg. UE 2015/2446 - Regolamento Delegato che integra e specifica le disposizioni del
Codice doganale dell'Unione, stabilisce che “Il termine entro il quale il richiedente può esprimere il
suo punto di vista prima che venga adottata una decisione che potrebbe arrecargli conseguenze
negative è fissato a 30 giorni”.
L’Agenzia delle Dogane ha chiarito che le procedure di controllo doganale e, in particolare, la
procedura di accertamento, sia per le operazioni cosiddette in linea che per i controlli a posteriori, è
regolata dalle norme del Codice doganale unionale anche per ciò che riguarda il contraddittorio
(“diritto di essere sentiti”), che in ragione del primato del diritto dell’UE, prevalgono sulla
disciplina nazionale.
Quindi, il Codice UE deve essere applicato a tutti gli atti nazionali, indipendentemente dal fatto che
siano stati adottati prima o dopo l’atto dell’Unione. Le autorità e i tribunali nazionali devono

pertanto, disapplicare le disposizioni nazionali finché sono in vigore le norme imperative
dell’Unione.

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L’attività sanzionatoria costituisce espressione del potere punitivo dell’Amministrazione Finanziaria, che viene esercitato in occasione della violazione di una norma tributaria.

Per garantire l’effettività e l’effettiva applicazione delle norme tributarie e degli obblighi giuridici in esse contenuti, l’ordinamento deve contemplare un presidio sanzionatorio, in grado di dissuadere la realizzazione di condotte contrarie ai suddetti obblighi.

L’ordinamento prevede due modelli di reazioni sanzionatorie: le sanzioni amministrative e quelle penali: (quest’ultime riservate in realtà a soli taluni comparti impositivi), graduate in ragione della gravità delle condotte sanzionate.

In caso di violazioni plurime della normativa tributaria, la reazione sanzionatoria può intraprendere due soluzioni: il cumulo materiale o il cumulo giuridico.

Con il cumulo materiale, la sanzione stabilita per ciascuna violazione si cumula alle altre sicchè viene irrogata la somma algebrica di tutte quante le sanzioni. Nel cumulo giuridico, invece, si applica una sola sanzione, debitamente aumentata.

Il D.Lgs. n. 87/2024 ha apportato diverse modifiche all’art. 12 del D.Lgs. n. 472/97, applicabili alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024.

Il decreto attuativo sulle sanzioni ha agito sull'istituto del cumulo giuridico delle sanzioni, secondo cui qualora il contribuente con un'unica azione/omissione violi più disposizioni anche riguardanti tributi diversi (c.d. concorso formale), ovvero con più azioni/omissioni violi la medesima disposizione (c.d. concorso materiale), il Fisco deve irrogare la sanzione più grave con l'aumento di un quarto al doppio (e non la somma delle singole sanzioni previste per le violazioni con il criterio del cumulo materiale).

Tra le modifiche, è necessario soffermarsi sulla riformulazione del comma 5 dell’art. 12 cit. che ha reso inapplicabile il cumulo giuridico ai tributi comunali.

Dalla nuova formulazione del comma 5 dell’art. 12 cit., come modificata dall’art. 3, co. 1, lett. f), D.Lgs. n. 87/2024, emerge chiaramente che il comma 5 non rappresenta più un’autonoma fattispecie di cumulo – come in passato sostenuto dalla Corte di Cassazione – ma è posto “al servizio” dei primi due commi, non è altro che un’aggravante delle fattispecie previste dai commi 1 e 2 della medesima disposizione (concorso materiale, concorso formale, progressione).

Alla luce delle suesposte considerazioni, non è più ammissibile il cumulo giuridico per le violazioni di omessa o infedele dichiarazione e omesso versamento riguardanti i tributi locali.

Di conseguenza, il cumulo giuridico non è applicabile ai tributi locali in quanto le violazioni relative a tali tributi non possono rientrare nell’ambito dell’applicazione dei commi 1 e 2 dell’art. 12 e del c.d. concorso delle violazioni. È, infatti, evidente che con la sola omissione del versamento IMU così come nel caso di violazioni dell’obbligo di denuncia, non si commettono diverse violazioni della medesima disposizione, bensì si realizza un’unica violazione legata alla mancata esecuzione del pagamento dovuto, oppure alla mancata o infedele presentazione della dichiarazione.

Parimenti, il mancato versamento IMU o le violazioni degli obblighi dichiarativi non possono essere considerati come violazioni plurime di una stessa disposizione e, tantomeno, se riferite a tributi diversi.

Va tuttavia precisato che il cumulo giuridico è escluso, per espressa previsione di legge, nelle ipotesi di omessi versamenti, nel caso di violazioni concernenti gli obblighi di pagamento e le indebite compensazioni.

 

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La medesima vicenda fiscale può essere oggetto, contestualmente, di un procedimento penale e di un procedimento amministrativo, ossia di un accertamento di imposta, destinato a sfociare in processo tributario.

Al netto del principio di specialità, per cui le sanzioni amministrative comunque irrogate non possono essere riscosse in pendenza del processo penale (art. 21 d.lgs n. 74/2000), vi è da considerare il rapporto tra il procedimento per l’accertamento delle imposte e quello penale, di accertamento dei reati. La fattispecie concreta, che rileva ai fini di entrambi i procedimenti, è essenzialmente la medesima: l’evasione di imposta.

Ebbene, la regola che informa i rapporti tra processo penale e procedimento e processo tributario è quella del doppio binario, per cui i due procedimenti/processi debbono procedere separatamente ed in autonomia, senza che si possa invocare alcuna pregiudizialità per sospendere l’uno o l’altro (art. 20, d.lgs n. 74/2000).

L’autonomia dei procedimenti, determina la reciproca irrilevanza dei relativi esiti nonché degli elementi fattuali e delle prove acquisite in ciascun contesto. Con la conseguenza, di risultati anche antitetici, come ad esempio la piena assoluzione in sede penale a fronte del riconoscimento della debenza totale del debito di imposta (quindi dell’evasione).

Prima della riforma introdotta dal D.Lgs. 87/2024, il sistema sanzionatorio penal-tributario, regolato dal D.Lgs. 74/2000, si fondava sul principio della piena e reciproca autonomia tra i due sistemi (penale e tributario) con l’esclusione di qualsiasi rapporto di pregiudizialità.

Ciò ha implicato talune volte che, pur vertendo su fatti comuni, i provvedimenti conclusivi dei due procedimenti fossero tra loro contraddittori, stabilendo, da un lato, la responsabilità penale per il reato tributario e, dall’altro lato, l ’annullamento della pretesa erariale, o viceversa.

Pertanto, la disciplina in tema di efficacia delle sentenze penali nel processo tributario era da rinvenirsi nell’art. 654 c.p.p., ai sensi del quale la formazione del giudicato penale non era direttamente invocabile nel processo tributario, poggiando i due processi su un sistema probatorio sostanzialmente diverso. In ogni caso, gli accertamenti delle circostanze fattuali compiuti dal giudice penale assurgevano ad elemento di prova o indizio in ordine ai fatti accertati penalmente e come tali potevano e dovevano essere oggetto di autonoma valutazione, quali elementi probanti in sede processuale tributaria;

La Legge delega per la riforma fiscale (Legge 9 agosto 2023, n. 111 in vigore il 29 agosto 2023.) all’articolo 20, co. 1, lett. a), n. 3), ha delegato il Governo a: rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario.

L’art. 1, co. 1, lett. m), D.Lgs. 87/2024 (c.d. Decreto Sanzioni) ha introdotto nel D.Lgs n. 74/2000 il nuovo articolo 21-bis, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, con il quale ha previsto che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento assume nel processo tributario efficacia di giudicato, in ogni

stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

In particolare, come chiarito in più occasioni dalla Corte di Cassazione, il nuovo art. 21-bis del D. Lgs. n. 74/2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87/2024, si applica anche nei casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 87/2024 (ossia prima del 29 giugno 2024), purché, in tale data, sia ancora pendente il relativo giudizio tributario.

Infine, in evidente applicazione del principio di divieto di ne bis in idem, così come elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si è infine prescritto che quando, per lo stesso fatto è applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, deve tenere conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva. Ciò, onde evitare una moltiplicazioni delle sanzioni in concreto applicabili, in palese spregio sia dei principi di proporzionalità che del divieto del ne bis in idem.

 

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