Di Emanuele Costa
Non è mai stata mia intenzione prendere posizione su un argomento così delicato, sensibile e toccante come quello che, in questo momento, riguarda l’immigrazione. Più che l’esigenza di voler, a tutti costi, inflazionare ancor più i commenti rilasciati da personaggi sicuramente più autorevoli e preparati di chi scrive, tenterò di soddisfare le numerose richieste che, sul tema, mi sono pervenute. Cercherò, quindi, di fornire un modesto contributo, che mi auguro possa risultare equilibrato, sperando, nel contempo, di suscitare qualche critica costruttiva volta ad accendere un coscienzioso dibattito su una materia di così ampia portata. Per chi ha vissuto, in prima persona, la caduta del Muro di Berlino e gli eventi storico-politici che hanno accelerato lo smantellamento della cosiddetta “cortina di ferro”, cui ha fatto seguito la dissoluzione del regime in vigore in quella che, una volta, era additata come Europa dell’Est, è pacifico che la memoria resusciti pensieri e ricordi di quell’incredibile ed indimenticabile periodo, con un distinguo rispetto al fenomeno attuale. All’epoca, infatti, più che una vittoria dell’Ovest sull’Est o, in alternativa, del libero mercato sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione, si è vissuto ed affrontato un momento di euforia a braccia aperte, ben disposte a sviluppare una politica di accoglienza nei confronti dei popoli dell’Europa orientale in fuga, non da una guerra, ma da un regime che li aveva privati delle più elementari libertà fondamentali, ma anche costretti a vivere in condizioni di “povertà” rispetto alla ricchezza “drogata” dal debito dei popoli occidentali. Eppure, il ricordo è ancora molto limpido: sono indelebili le immagini di quelle “carrette del mare” stracolme all’inverosimile di persone che, dai paesi baltici affacciati sul Mediterraneo cercavano rifugio al di là delle proprie coste, così come è indimenticabile la macchina organizzativa messa in piedi per accogliere i “rifugiati europei” e la gara di solidarietà fra coloro che offrivano aiuto. Ma la storia, come sempre accade, tende ad insegnare il peggio e dimenticare l’esperienza migliore. Oggi, a fallire non è un sistema economico rispetto ad un altro, ma tutta quella cultura europea che, dal dopoguerra ad oggi, è stata costruita sul rispetto di ben determinati valori che, come d’incanto, si sono vaporizzati nell’egoistico benessere e materializzati nella “Grande Casa Comune Europea”. In altre parole, l’Europa sta dimostrando di non essere in grado di esportare quei principi culturali, solidali e umanitari che costituiscono un peculiare fattore critico di successo che le grandi potenze del pianeta non sono nemmeno in grado di immaginare, se non, come dice la parola stessa, manifestando nel peggiore dei modi la superiorità della loro forza. Che cosa è, quindi, cambiato nella cultura europea di oggi rispetto a quella dei primi Anni Novanta?
È, indubbiamente, il nuovo tormentone del periodo. Se non lo avete visto, ne avrete sicuramente sentito parlare in ogni dove. E se non ne avete sentito ancora parlare, ne leggerete ora. Ebbene sì, spendiamo anche noi due parole su “Inside out”, il nuovo film di Pete Docter, già autore di altri titoli Pixar come Monsters & co., Wall-e, Up.
Per chi ancora non conoscesse la storia, il film racconta la vicenda della piccola Riley, bambina del Minnesota che si trasferisce a San Francisco con la famiglia; ma non vi aspettate nessuna strabiliante avventura: la vicenda descritta dura poco più di qualche giorno ed è quasi tutta ambientata nel cervello di Riley, dove cinque emozioni principali -Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia- indirizzano gli stati d’animo da una plancia di comando, gestiscono la costruzione e lo stoccaggio dei ricordi, reagiscono secondo la loro natura agli stimoli esterni in un momento così critico per la bambina.
Il nodo critico della storia è rappresentato dal momento in cui Gioia e Tristezza, in questo corto circuito emotivo vissuto dalla ragazzina, finiscono per errore da un’altra parte del cervello. Il film racconta la storia parallela del loro viaggio di ritorno verso il quartier generale e di quello di Riley che cerca di tornare felice com’era nel Minnesota, sentendosi sperduta a San Francisco.
Chi lo ha visto, probabilmente per una buona parte del film si sarà chiesto cosa ci sia di così diverso e particolare in questo film rispetto ad altri. Come sarà probabile che gli stessi si siano alzati dopo i titoli di coda col fazzoletto zuppo, degno del miglior film strappalacrime, e con la sensazione di aver fatto un pianto bello, profondo e giusto.
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma che diavoleria è mai questa?
La spiegazione è da ricercare nella matrice psicologica del film. “Inside out”, infatti, racconta le emozioni attraverso una sintesi delicata tra la fisiologia del cervello, le strutture della psiche e una vicenda personale che produce immedesimazione nel pubblico: i piccoli vedono se stessi, i grandi vedono se stessi qualche anno prima oltre ai piccoli che hanno intorno in sala, figli compresi.
Il film utilizza in maniera semplice e chiara concetti della teoria cognitiva della mente e delle teorie psicoanalitiche : da una parte inconscio e forze profonde, dall’altra emozioni, pensieri e memoria di lavoro. È tutta una grande rappresentazione allegorica della mente umana in cui ciascuna emozione è rappresentata da un simpatico cartoon, con un colore ben definito che attira i piccoli e fa sorridere i grandi.
Ciò che colpisce maggiormente, è il fatto che tutta la bonaria confusione e l’ilarità di questi simpatici pupazzetti, non è altro che il riflesso di ciò che succede nella nostra mente, di quel ciclone di emozioni che si agitano dentro di noi ogni qual volta ci troviamo a fronteggiare nuove situazioni o cambiamenti; confusione dalla quale spesso fuggiamo terrorizzati - con tutta una serie di disagi psicologici che oggi più che mai sono in continuo aumento tra la popolazione- e che invece dovremmo semplicemente accettare, al fine di poterla fronteggiare.
Perché sono le cose dentro di noi, insieme alle esperienze che facciamo, che ci fanno diventare quello che siamo.
In realtà, l’elemento davvero rivoluzionario del film è la caduta di uno dei più grandi stereotipi narrativi del cinema e della letteratura: l’idea secondo cui il sorriso gioioso, l’allegria o la realizzazione positiva di qualsiasi proposito, siano le uniche azioni e reazioni su cui focalizzarsi per essere felici. Tutti vorrebbero essere felici, e da genitori, il desiderio è che lo siano anche i propri figli, ma purtroppo non è sempre così. Ci sono anche delusioni, senso di perdita, problemi. Le altre emozioni esistono proprio per aiutarci a affrontare la complessità della vita ed ognuna ha il proprio peso e valore.
Il legame fra gioia e tristezza è, nello specifico, uno dei temi principali del film: in un’epoca in cui, più che nella ricerca, ci si affanna soprattutto nell’ostentazione -spesso forzata- della felicità, è raro trovare film che insegnino a voler bene alla tristezza, in maniera leggera e delicata, senza cadere in complicate teorie esistenzialiste e decadentiste secondo cui la gioia è solo ipocrisia.
Il tutto è condito da un po’ di commedia in cui, quando si ride, si ride di gusto, improvvisamente. Così come si piange.
E, alla fine, si esce con la consapevolezza che ci si può permettere tanto l’una quanto l’altra reazione perché è solo un film, un gioco, è finzione. Ma mica poi tanto.
MEOLA ROSA
Di Nicola Quaranta Un giovane extracomunitario martedì mattina, ubriaco, ha prima disturbato i clienti di un supermercato di via Dolcetta, a Cagliari, e poi preso a calci e pugni i poliziotti che lo stavano arrestando, era finito in cella lo scorso maggio: sarebbe uno degli scafisti che hanno trasportato parecchi migranti soccorsi al largo della Libia e portati a Cagliari. Causandone la morte di alcuni.Il giovane, 26 anni, della Guinea, era libero in quanto avrebbe agito in stato di necessità. Ma aveva un decreto di espulsione.A distanza di quattro mesi Souleyman Kieta è finito di nuovo in cella per resistenza.Uno degli agenti picchiati durante il maldestro tentativo di fuga è finito in ospedale con venti giorni di cure.
di Stefania Cacciani
psicologa-criminologa-naturopata
Si parla di disturbi psicologici quando una specifica condizione compromette pesantemente le capacità sociali, le capacità lavorative, le capacità affettive, le capacità sessuali, le capacità relazionali di un determinato individuo.
I problemi quotidiani, il nostro modo di vivere frenetico e lo stress cittadino, hanno accentuato questi particolari disturbi rendendoli sempre più frequenti, specie in città caotiche come la capitale.
È appurato che il caos cittadino può portare numerosi disagi.
La Psicologia è una scienza dinamica che si occupa di studiare il comportamento umano in quanto risulta scientifico solo quello che si può osservare ed il comportamento umano è decisamente osservabile.
Effettuata una diagnosi attraverso i test psicologici e i colloqui (con l’aiuto del Manuale Diagnostico DSM 5), il terapeuta si propone di offrire un aiuto concreto nel migliorare gli aspetti più critici della propria vita, come: stress, attacchi di panico, ansia, depressione, disturbi alimentari, disturbi del sonno etc. etc.
Il cambiamento è sempre possibile, se intensamente desiderato.
Rivolgersi ad un psicologo professionalmente serio, che guidi il percorso di guarigione, di recupero del proprio benessere può cambiare il destino di una persona.
Lo psicologo è in grado cogliere le complesse dinamiche con cui inconsapevolmente si ripetono sempre gli stessi schemi di comportamento che condizionano la vita di una persona attraverso la manifestazione di vari disturbi.
Il compito di un bravo terapeuta è quello di fornire gli strumenti concreti che possano aiutare a raggiungere, cognitivamente ed emotivamente un nuovo punto di vista in grado di generare benessere, da prendere come punto di partenza per trarne un cambiamento tangibile.
I sintomi ed alcuni comportamenti sono il riflesso di processi inconsci che vengono usati per difendersi da desideri e sentimenti che la persona ha rimosso.
La nostra modalità di relazionarsi con gli altri, i nostri interessi, le simpatie e le antipatie non sono casuali ma tutto è influenzato da forze inconsce che interagiscono.
Quando il comportamento della persona è fortemente sintomatico, quando il sintomo padroneggia le vita della persona si perde la libertà di scegliere, la libertà di vivere. Il sintomo è un adattamento ai conflitti interiori, alle paure, all’ansia, alla rabbia, all’aggressività, a bisogni e desideri frustrati.
L’inconscio ci parla attraverso il sintomo.
Le esperienze infantili sono fattori importanti nella formazione della personalità adulta, schemi infantili di organizzazione mentale od emotiva persistono in età adulta, il passato si ripete nel presente.
Ogni persona è unica ed ha una storia personale, davanti ad una stessa esperienza di vita ogni persona reagisce con modalità diverse cercando di far fronte alla sofferenza, fondamentale è conoscersi.
L'American Psychiatry Association (APA) ha di recente pubblicato l'ultima edizione del Manuale Statistico Diagnostico (DSM 5) dei Disordini Mentali. A differenza della precedente edizione, ossia riguardante il DSM.4, nel DSM 5 i Disturbi sessuali non sono più conglobati in una stessa categoria ma in tre categorie distinte: le Disforie di Genere, le Parafilie, le Disfunzioni Sessuali.
Per ciò che riguarda questa ultima categoria si è indebolito il rapporto con il ciclo della risposta sessuale che ha determinato nelle precedente edizione del manuale la suddivisione delle disfunzioni in tre aree disfunzionali distinte rispettivamente del desiderio, dell’eccitazione, dell’orgasmo. Al contrario, la recente letteratura ha dimostrato che la risposta sessuale non è un processo lineare ed uniforme, e la distinzione dei disturbi in funzione delle fasi (ad esempio desiderio ed eccitazione) può essere artificiosa. Per ciò che concerne le disfunzioni del sesso femminile esse sono state unite nel Disturbo unico del desiderio sessuale e dell’eccitazione sessuale femminile.
Stessa cosa per il vaginismo e la dispareunia che sono stati conglobati nel Disturbo del dolore genito-pelvico e della penetrazione.
È stato aggiunto un nuovo disturbo ossia l’eiaculazione ritardata, in cui si deve avere un marcato ritardo o assenza di eiaculazione, in quasi tutte le occasioni di attività sessuale con un partner, senza che il soggetto lo desideri. Bisogna essere in questi ambiti molto attenti alla diagnosi differenziale con altra condizione medica (neuropatie periferiche, patologie della prostata, ecc.) o a disturbo simile ma indotto da sostanze.
Nel DSM 5 sono mantenuti il disturbo erettile, il disturbo dell’orgasmo femminile, il disturbo del desiderio ipoattivo maschile, l’eiaculazione precoce.
Il Disturbo da avversione sessuale è stato abolito dalle categorie principali e relagato in "altre disfunzioni sessuali specifiche".
Il DSM-5 ha tracciato una linea netta tra i comportamenti sessuali atipici, le parafilie, e i Disturbi Parafilici che comportano disagio clinicamente significativo e alterazione del funzionamento. I criteri per i Disturbi Parafilici sono quelli presenti nel DSM 4, con l’aggiunta di indicatori di decorso, per specificare se il disturbo è in remissione o se il paziente vive in un ambiente controllato (come il carcere, dove la pratica sessuale deviante non può essere facilmente praticata).
La Parafilia è condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di un Disturbo Parafilico e di per sé non richiede un intervento terapeutico poiché da sola non costituisce una diagnosi.
Si diagnostica un Disturbo Parafilico solo quando sono presenti entrambi questi criteri:
- Sentimenti di disagio per le proprie pratiche sessuali, non solo derivanti dalla disapprovazione sociale
- Desiderio o comportamento sessuale che comporti sofferenza psicologica, lesioni fisiche o la morte di un’altra persona o desiderio sessuale verso una persona che non abbia dato il proprio consenso o che non siano in grado di darlo.
Il cambiamento nei criteri diagnostici tra DSM 4 e DSM 5 è di un certo interesse e comporta la possibilità di praticare comportamenti sessuali una volta considerati patologici e atipici, come per esempio il travestitismo o il masochismo, senza subire una diagnosi di disturbo mentale.
Comunque per essere tali le disfunzioni devono avere una durata minima di sei mesi, ad eccezione di quelle secondarie all’uso di sostanze psicoattive. Nel DSM 5 è’ stata abolita la distinzione tra disfunzioni legate a fattori biologici o a fattori psichici, convenendo che spesso entrambi questi aspetti ne prendano parte.
La raccomandazione è quella di considerare i sintomi sessuali come disturbi psichici solo dopo aver escluso ogni componente organica.
La collaborazione tra specialisti diventa quindi ulteriormente valorizzata.
Di Amedea Sagrestani
E’ ormai inevitabile ed ipocrita continuare a negarlo facendo finta di non vedere, l’Europa come la conosciamo non esisterà più. Questo avverrà non tra dieci anni, sta già accadendo ad una velocità spaventosa. Quali sono le ragioni del cambiamento? Errori politici e di valutazione, cause demografiche, teorie del complotto e revisionismi storici che cercano di minare l’identità occidentale già divisa da ideologie. Ma andiamo per gradi … L’Europa attraversa un declino senza precedenti: economico, sociale, culturale e demografico. Declino, accelerato da massicce ondate migratorie provenienti dal Nord-Africa e Medio Oriente. La situazione attuale, è in totale controtendenza rispetto alle previsioni di quanti volevano fare dell’Europa un super continente capace di competere nel Mondo. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa vide una rinascita senza precedenti: l’economia era in crescita, la disoccupazione diminuiva pian piano, la speranza di vita si allungava. Erano gli anni cinquanta, quelli del miracolo economico, a cui contribuirono le ondate migratorie originatesi principalmente all’interno dell’Europa: spagnoli, portoghesi, italiani. Queste persone compirono enormi sforzi per integrarsi, lavoravano – nelle miniere, nelle fabbriche, nell’edilizia- , non venivano aiutati da nessuno, non avevano agevolazione di alcun tipo, non avevano sussidi e soprattutto non venivano ospitati negli alberghi a spese dei contribuenti. Eppure, s’integrarono, lavorano duramente e, dopo aver accumulato i denari necessari per vivere una vita dignitosa, tornarono nei loro Paesi. Nulla a che vedere con la migrazione odierna. Gli immigrati di oggi, nonostante le mistificazioni del politicamente corretto, non hanno alcuna intenzione d’integrarsi, specialmente i fedeli islamici. I politici inglesi, come quelli francesi, commisero un errore di valutazione: pensarono di poter facilmente integrare gli immigrati del Nord-Africa e quelli provenienti dal Medio Oriente. I problemi iniziarono a sorgere nei primi anni del duemila, quando i governi di Francia e Gran Bretagna, si trovarono a fronteggiare feroci rivolte nei sobborghi di Londra e Parigi. Rivolte non dovute agli stenti economici, ma ad una diversa visione della società: gli islamici pretendevano – e pretendono- di vivere secondo i dettami dell’Islam e le regole shariatiche, spesso calpestando i principi che fondano la nostra società. Non parlano con gli infedeli né imparano la loro lingua, ritenendo l’Islam superiore a tutto e tutti. I giovani si isolano volontariamente perché seguono i dettami islamici e, spesso attribuiscono la colpa ai cattivi occidentali. Innescano risse con immigrati di altre fedi e provenienze e talvolta con la popolazione locale, tanto che la polizia a Birmingham -città a maggioranza islamica- esortò i cittadini inglesi a trasferirsi altrove. Quello che i governi di tutti i paesi europei, dovranno affrontare, saranno dei gravi problemi di ordine pubblico e sicurezza. Altro errore commesso dai governi del vecchio continente, fu quello di mostrarsi sordi agli avvertimenti dei demografi che già negli anni settanta denunciavano il calo di natalità in Europa. Neanche i cittadini prestavano attenzione alle parole degli studiosi, obnubilati dal falso mito della sovrappopolazione. Nella miriade di vertici che si sono tenuti tra i leader dei Paesi europei, mentre l’economia dava segni di cedimento, si parlò di tutto tranne dei problemi più importanti e vitali per l’Europa: il calo demografico e le crescenti tensioni le comunità islamiche insediatesi nel vecchio continente.