Il giudizio di ottemperanza è lo strumento da attivare per ottenere l’esecuzione di una sentenza pronunciata nei confronti della P.A. sulla quale grava, quindi, l’obbligo di conformarsi. Si tratta della più importante ipotesi di giurisdizione estesa al merito attribuita al giudice amministrativo, potendo quest’ultimo sostituirsi alla P.A. inadempiente nell’adozione dei provvedimenti necessari a dare attuazione alla pronuncia giurisdizionale non eseguita, direttamente o a mezzo di commissario ad acta.
Ai sensi degli artt. 59 e 112 c.p.a., se la P.A. non ottempera in tutto o in parte alle misure cautelari concesse, ovvero alla sentenza di primo grado del Tar non sospesa dal Consiglio di Stato, l’interessato può esperire il rimedio in esame.
I presupposti dell'azione per l'ottemperanza sono, in estrema sintesi: a) una decisione da eseguire (il cosiddetto giudicato); b) l'inottemperanza dell'amministrazione all'obbligo di conformarsi alla suddetta decisione.
Quanto alla natura giuridica del rimedio, l’orientamento allo stato prevalente è quello che riconosce natura mista al processo di ottemperanza, quale giudizio cognitorio ed esecutivo.
In tale giudizio, infatti, alla fase di cognizione, nella quale il giudice accerta l’inadempimento dell’amministrazione, segue quella esecutiva, volta a dare in concreto esecuzione alla sentenza con l’assegnazione all’amministrazione di un termine per provvedere e la nomina del commissario ad acta nell’ipotesi di persistente inottemperanza.
In giurisprudenza si tende ormai a riconoscere al presupposto dell’inottemperanza un’estensione ampia, ricomprendendovi non solo i casi in cui l’amministrazione non adotta il provvedimento conseguente alla sentenza, ma anche quelli in cui pone in essere un provvedimento violativo o elusivo del giudicato, nonché le ipotesi di attuazione incompleta o parziale dell’obbligo di esecuzione del giudicato. Ai sensi dell’art. 114 co. 1 c.p.a. non è, invece, più necessaria la previa diffida ad adempiere.
L’art. 21 septies della L.241/1990 menziona, tra le altre ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, la violazione o l’elusione del giudicato. Tale disposizione assume rilievo anche processuale alla luce di quanto disposto dall’art. 114, co. 4, lett. b) c.p.a., secondo il quale il giudice, in caso di accoglimento del ricorso per l’ottemperanza, dichiara nulli gli eventuali atti adottati in violazione o elusione del giudicato.
Il giudizio di ottemperanza è infatti diretto a verificare se la P.A. abbia adempiuto effettivamente all’obbligazione nascente dal giudicato, attribuendo al privato quell’utilità concreta che la sentenza ha riconosciuto come dovuta.
Affinchè possa ravvisarsi il vizio di violazione od elusione del giudicato, non è sufficiente che la riedizione dell’azione amministrativa alteri l’assetto degli interessi definito dalla pronunzia passata in giudicato, ma è necessario che la P.A. eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in diretto contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo (violazione), o cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da uno sviamento di potere (elusione).
In ogni caso, ai fini del riscontro del vizio in esame è necessario che dal giudicato derivi un obbligo puntuale e vincolato, così che il suo contenuto sia integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza, con la conseguenza che la verifica della sussistenza del vizio di violazione o elusione del giudicato implica il riscontro della difformità specifica dall’atto stesso rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire.