Venerdì, 27 Settembre 2024 00:23

LA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITA’ DELLA P.A.

Pubblicato in Economia e Diritto

LA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITA’ DELLA P.A. DA ILLEGITTIMO O

RITARDATO ESERCIZIO DEL POTERE

Il tema della natura giuridica della responsabilità della Pubblica Amministrazione da illegittimo o ritardato
esercizio del potere amministrativo è da tempo al centro di un ampio dibattito pretorio e dottrinario.
Basti qui ricordare che le diverse soluzioni prospettate nel tempo sono quelle che ascrivono la responsabilità
medesima allo schema: a) “aquiliano” o della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. (si tratta
dell’opzione ermeneutica seguita dalla Sez. Un. 500/1999 e recepita dall’art. 30 del Codice del Processo
Amministrativo); b) contrattuale “da contatto sociale qualificato” tra il privato e la P.A. a seguito dell’avvio
del procedimento amministrativo; precontrattuale ex art. 1337 c.c., derivante da un comportamento del
soggetto pubblico che ha inciso sul diritto del privato di autodeterminarsi nel rapporto negoziale; d) e
“misto”, nel senso che assorbe taluni tratti distintivi delle tre forme di responsabilità tipiche del diritto civile
e le combina insieme.
Sull’argomento l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sent. 7/2021, ha preso un’espressa e netta
posizione, stabilendo che la responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità
provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha
natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano (art. 2043 c.c.) e non già di responsabilità da
inadempimento contrattuale (previsto dall’art. 1218 c.c.).
La responsabilità da inadempimento si fonda sul non esatto adempimento della “prestazione” cui il debitore è
obbligato in base al contratto. Un vincolo obbligatorio di analoga portata non può essere configurato per la
P.A. che agisca nell’esercizio delle sue funzioni amministrative e quindi nel perseguimento dell’interesse
pubblico definito dalla norma attributiva, che fonda la causa giuridica del potere autoritativo.
Sebbene a quest’ultimo si contrapponga l’interesse legittimo del privato, la relazione giuridica che si instaura
tra il privato e l’amministrazione è caratterizzata da due situazioni soggettive entrambe attive, l’interesse
legittimo del privato e il potere dell’amministrazione nell’esercizio della sua funzione. In questo caso quindi
è configurabile non già un obbligo giuridico in capo all’amministrazione, rapportabile a quello che
caratterizza le relazioni giuridiche regolate dal diritto privato, bensì un potere attribuito dalla legge, che va
esercitato in conformità alla stessa e ai canoni di corretto uso del potere individuati dalla giurisprudenza.
Né la fattispecie in esame può essere ricondotta alla dibattuta nozione di “contatto sociale”, in quanto la
relazione tra privato e amministrazione è comunque configurata in termini di “supremazia”, cioè da una
asimmetria che mal si concilia con le teorie sul “contatto sociale” che si fondono sulla relazione paritaria.
Anche in un’organizzazione dei pubblici poteri improntata al buon andamento, in cui si afferma il modello
dell’amministrazione “di prestazione”, quest’ultima mantiene rispetto al privato la posizione di supremazia
necessaria a perseguire “i fini determinati dalla Legge” (art. 1, comma 1, della L.241/1990), con atti di
carattere autoritativo in grado di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato.
Il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che gli elementi necessari per affermare la responsabilità
della P.A. sono: a) l’elemento oggettivo, ossia l’ingiustizia del danno che deve avere determinato la lesione
dell’interesse al bene della vita (a cui si collega l’interesse legittimo); b) il nesso causale tra la condotta
illegittima e il danno ingiusto; c) e l’elemento soggettivo dell’illecito, costituito dal dolo o dalla colpa del
soggetto pubblico.
Pertanto, è necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione
delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 c.c. i criteri limitativi della consequenzialità
immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227
c.c., e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 c.c.
In definitiva, il danno da ritardo si realizza comunque nell’esercizio del potere, essendo patologia che
afferisce al cattivo uso, sul piano temporale, dello stesso. In altri termini, in caso di ritardo nell’adozione
dell’atto, la condotta amministrativa è inficiata dalla violazione delle norme pubblicistiche di azione che
impongono l’adozione di un provvedimento espresso nei termini.
Da tale postulato oltrechè dalla lettera dell’art. 30 c.p.a. e dell’art. 2 bis della L. 241/1990, l’Adunanza
Plenaria trae un corollario importante: il paradigma cui è improntato il sistema della responsabilità

dell’Amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di
quella doverosa, devoluto alla giurisdizione amministrativa, è quello della responsabilità da fatto illecito.

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