Una recente sentenza della Cassazione (18448/2015) affronta nuovamente il tema della rilevabilità d'ufficio degli atti di accertamento affetti da nullità.
L’invalidità dell’atto impugnato per mancanza degli elementi essenziali deve essere eccepita dal contribuente mediante ricorso giurisdizionale, ritualmente proposto nel termine di sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto stesso. In difetto, l’atto, seppure affetto da un vizio di nullità, si consolida, divenendo definitivo, e legittima l’Amministrazione finanziaria alla riscossione.
Il caso specifico muove dall’impugnazione di una cartella di pagamento, mediante la quale il contribuente contestava il versamento degli importi richiesti dall’Amministrazione Finanziaria con precedenti avvisi di accertamento non impugnati e, quindi, divenuti definitivi.
Il contribuente sosteneva, in particolare, che tali avvisi, essendo stati sottoscritti con firma illeggibile, fossero affetti da un vizio di nullità strutturale (ex articolo 21-septies della legge 241/1990).
La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso con sentenza che veniva riformata in appello. Avverso la sentenza di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.
Con la sentenza in esame, la Cassazione – nel condividere la tesi dell’Agenzia – ha chiarito che i vizi di invalidità dell’atto impugnato costituiscono “eccezioni in senso stretto”, per cui non sono rilevabili d’ufficio dal giudice, ma devono essere fatti valere soltanto dal contribuente in sede di ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
La Cassazione, muovendo dal presupposto della specialità del diritto tributario rispetto al diritto civile e a quello amministrativo, ha innanzitutto ricordato che l’articolo 42, comma 3, del Dpr 600/1973, nel prevedere che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all'ultimo periodo del secondo comma”, contempla un’unica ipotesi di nullità nell’ambito della quale sono indifferentemente raggruppati i vizi di natura formale e sostanziale degli atti tributari e che il successivo articolo 61, comma 2, del medesimo decreto stabilisce che “la nullità dell’accertamento ai sensi del terzo comma dell’art. 42…, e in genere per difetto di motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado”.
Inoltre, la Corte di legittimità ha ribadito che l’oggetto del giudizio tributario è circoscritto ai motivi di ricorso fatti valere dal contribuente e può essere modificato esclusivamente con la presentazione di motivi aggiunti “nel solo caso di ‘deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011).
Più precisamente, secondo la Cassazione, il vizio di nullità dell’atto tributario va inteso, sul piano processuale, come vizio di annullabilità, con la conseguenza che l’invalidità dell’atto non è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma va eccepita dal contribuente in sede di ricorso alla Commissione tributaria provinciale da proporre entro il termine di sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato (trattasi di una eccezione “in senso stretto”). In difetto di tempestiva impugnazione, “il provvedimento tributario viziato da ‘nullità’ si consolida, rendendo definitivo il rapporto obbligatorio sottostante e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta”.
I principi di diritto enunciati dalla Cassazione con la sentenza n. 18448/2015, che si riferiscono al caso di atti che presentano vizi di sottoscrizione, di motivazione ovvero di mancata allegazione di documenti citati, possono ritenersi estendibili ai contenziosi concernenti gli atti sottoscritti dagli incaricati di funzioni dirigenziali. A tal proposito, si può infatti affermare che le eccezioni relative agli atti sottoscritti dagli incaricati non possono essere proposte con riferimento agli atti non impugnati entro il termine di decadenza, a quelli impugnati senza dedurre un vizio riconducibile alla legittima investitura del funzionario incaricato di mansioni dirigenziali, nonché ai giudizi ormai definiti con sentenza passata in giudicato. In particolare, tali eccezioni non possono essere sollevate per la prima volta dal contribuente successivamente alla proposizione del ricorso né sono rilevabili d’ufficio dal giudice.
Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (Cassazione n. 25756/2014).