La trattazione del tema relativo alla nullità del provvedimento amministrativo impone un preventivo inquadramento della categoria giuridica della invalidità degli atti, anche al fine di evidenziarne la peculiare conformazione assunta nell’ambito del sistema del diritto amministrativo, caratterizzato dall’esercizio di un potere autoritativo da parte della pubblica amministrazione nei confronti del privato.
In termini generali, l’invalidità indica la difformità dell’atto rispetto al modello normativamente previsto, cui consegue l’inefficacia definitiva dell’atto medesimo, quale specifica sanzione approntata dall’ordinamento a fronte dell’inosservanza delle norme regolative della fattispecie. All’interno di tale categoria, sono ricondotte la nullità, che determina l’inefficacia ab origine dell’atto, e l’annullabilità, che implica l’inidoneità dell’atto a produrre effetti solo a seguito e in ragione della pronuncia giudiziale accertativa dell’invalidità e costitutiva dell’effetto caducante.
L’art. 21-septies reca la codificazione delle cause di nullità del provvedimento amministrativo, facendo riferimento alla mancanza degli elementi essenziali, al vizio del difetto assoluto di attribuzione, all’adozione in violazione o elusione del giudicato e, infine, a tutti gli altri casi in cui la legge qualifica espressamente l’atto come nullo.
Ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, trova applicazione il criterio della causa petendi, che fa riferimento alla effettiva natura della situazione giuridica soggettiva fatta valere: giudice amministrativo in caso di interesse legittimo e giudice ordinario in caso di diritto soggettivo.
La previsione dell’azione di nullità nell’ambito delle norme sul processo amministrativo (art. 31, co. 4 c.p.a.) supera definitivamente le ricostruzioni volte a individuare il giudice competente sulla base della gravità del vizio di invalidità, le quali limitavano la cognizione del giudice amministrativo alle ipotesi di annullabilità del provvedimento, riconoscendo il giudice ordinario come giudice naturale della nullità.
I poteri del giudice ordinario risultano stabiliti dagli artt. 4 e 5 L.A.C., che tracciano i cd. limiti interni di tale giurisdizione rispetto all’attività dell’amministrazione. L’art. 4, co. 1 definisce i poteri di cognizione del giudice ordinario, prevedendo che questi può “conoscere degli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”. L’accertamento sull’atto amministrativo da parte del giudice ordinario risulta, quindi, limitato alla rilevanza del medesimo assunta per il giudizio in corso, con la conseguenza che la relativa pronuncia non ha efficacia erga omnes, ma vale soltanto per il caso deciso e inter partes. L’atto amministrativo oggetto di accertamento, infatti, non rileva in sé, quanto piuttosto per gli effetti che produce, per la sua idoneità a determinare una lesione del diritto.
Il comma 2 della medesima disposizione, poi, i poteri di decisione del giudice ordinario, escludendo che questi possa revocare o modificare l’atto amministrativo, ove ne ravvisi l’illegittimità. Tali poteri spettano all’amministrazione, che a fronte di una pronuncia giurisdizionale, ha l’obbligo di conformarsi al giudicato, pena l’azionabilità del giudizio di ottemperanza ex artt. 112 e ss. c.p.a.
Dall’art. 5 L.A.C. si ricava, infine, il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi. La disciplina di riferimento dell’azione declaratoria della nullità è contenuta nell’art. 31, co. 4 c.p.a. Dalla formulazione della norma si ricava la qualificazione della azione di nullità come azione di accertamento. La pronuncia del giudice non appare volta a verificare la spettanza del bene, ma unicamente ad accertare la patologia che inficia il provvedimento amministrativo, all’esito di un giudizio sull’atto e non sul rapporto.
L’analisi fin qui condotta mostra come nel settore del diritto amministrativo la categoria della nullità assuma una conformazione peculiare, relativamente alla natura specifica del provvedimento amministrativo, il quale costituisce espressione di un pubblico potere e mira al perseguimento di pubblici interessi e con riferimento alla ripartizione della giurisdizione nonché alle concrete modalità di operatività del vizio innanzi all’autorità giudiziaria.