Mercoledì, 25 Dicembre 2024 03:27
Pubblicato in Economia e Diritto

IL SILENZIO RIFIUTO: IL TEMPO COME BENE DELLA VITA

L’art. 2 della Legge 241/1990, nell’imporre alla P.A. l’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso entro un determinato termine, codifica i principi di certezza del tempo dell’agire della pubblica amministrazione e di doverosità dell’azione amministrativa.

Il termine “silenzio” nel diritto amministrativo si riferisce tradizionalmente agli istituti preposti alla rimozione o alla prevenzione degli effetti negativi dell’inerzia della P.A., in vista della tutela dei soggetti interessati all’emanazione di un atto amministrativo.

Nei casi in cui l’inerzia dell’Amministrazione non è diversamente disciplinata da una norma positiva viene in considerazione l’istituto del silenzio-rifiuto: si tratta di un rimedio di origine giurisprudenziale che presuppone l’interesse qualificato di un soggetto all’emanazione di un atto e consiste nella possibilità di ricorrere al giudice amministrativo per ottenere l’attuazione coattiva del dovere di provvedere inadempiuto dalla P.A..

Esso risulta esperibile in presenza di un obbligo di provvedere nei confronti del richiedente rispetto al quale l’Amministrazione sia rimasta inerte. Si può quindi configurare un silenzio inadempimento dal parte della stessa tutte le volte in cui l’Amministrazione viola l’obbligo di provvedere a prescindere dal contenuto discrezionale o meno del provvedimento.

Il comma 1 dell’art. 2bis della Legge 241/1990 prevede che: “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

E’ risarcibile il danno da ritardo indipendentemente dalla fondatezza della pretesa azionata con l’istanza avanzata nei confronti della P.A.?

Nel rapporto con la P.A. i beni della vita da tutelare sono due: quello oggetto dell’istanza e quello dell’evasione tempestiva dell’istanza da parte della P.A.

Tale lettura, è in perfetta linea con l’atipicità della tutela aquiliana tracciata dall’art. 2043 c.c..

Da tutto quanto fin detto si ricava che la risarcibilità del danno da mero ritardo significa che il danno può esserci ed essere ingiusto anche se la pretesa è infondata; non certo che il risarcimento del danno sia la conseguenza ineluttabile di ogni violazione del termine. Il riferimento all’ingiustizia, da valutare alla luce dei coefficienti soggettivi che animano privato e P.A., impone che si debba verificare di volta in volta se il privato sia meritevole di tutela.

Invero, dopo che l’evoluzione giurisprudenziale ha definitivamente sganciato il concetto di ingiustizia del danno dalla lesione del diritto soggettivo, fino a comprendere anche l’interesse legittimo, non vi è più alcun ostacolo a considerare tra le posizioni giuridiche meritevoli di tutela anche quella volta ad ottenere dalla P.A. una risposta tempestiva.

Sul punto ha di recente preso posizione l’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021 n. 7) con particolare riguardo alla natura della responsabilità della Pubblica Amministrazione precisando che la stessa, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano ( e non già di responsabilità di inadempimento contrattuale); è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato e non anche il criterio della prevedibilità del danno.

 

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