Limiti all'accesso ai documenti nei procedimenti tributari

Pubblicato in Economia e Diritto

Tra i limiti che il Legislatore pone al diritto di accesso vi è quello relativo all’esclusione degli atti relativi a procedimenti tributari. In particolare ai sensi dell’art. 24 della L. 241/1990, il diritto di accesso è escluso “nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”.

L'esclusione dell'accesso "nei procedimenti tributari" ha natura temporalmente limitata alla conclusione del procedimento tributario, sicché esso risulta precluso in pendenza del procedimento, mentre è ammesso al ricorrere dei presupposti della l. n. 241/1990, una volta concluso il procedimento.

Soltanto nella fase di pendenza del procedimento tributario gli atti relativi ad un accertamento fiscale sono inaccessibili, non rilevando, al contrario, alcuna esigenza di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento, con l'adozione del provvedimento definitivo di accertamento, essendo tale fase deputata alla tutela in giudizio delle proprie situazioni giuridiche soggettive, ritenute lese dal provvedimento impositivo (T.A.R. Palermo, (Sicilia) sez. II, 10/02/2023, n.450).

Sul tema si è sviluppata un’ampia giurisprudenza volta a circoscrivere la preclusione sopra riportata.

Approdo di tale sviluppo pretorio è rappresentato da un recentissimo intervento dell’Adunanza Plenaria ( Cons. Stato, Ad. Plen, 14 marzo 2022, n. 4) in materia di accesso alle cartelle di pagamento che ha ribadito il principio fondamentale dell’accessibilità di tali documenti da parte di soggetti titolari di un interesse difensivo e concreto.

L’Adunanza Plenaria ritiene opportuno chiarire che la cartella di pagamento va considerata come documento amministrativo accessibile ai sensi dell’art. 22 della L. 241/1990.

La cartella, da una parte è lo strumento che nel procedimento di esecuzione esattoriale serve a portare a conoscenza del contribuente, mediante notifica, l’esistenza del titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione esattoriale e costituita dal ruolo, dall’altro incorpora il contenuto del “precetto”, ovvero contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorno dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.

L’Adunanza, dunque, formula i seguenti principi di diritto: “Il concessionario della riscossione, ai sensi dell’art. 26, comma 5 del D.P.R. 602/1973, ha l’obbligo di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella di pagamento, anche quando esso si sia avvalso delle modalità semplificate di diretta notificazione della stessa a mezzo di raccomandata postale.

Qualora il contribuente richieda la copia della cartella di pagamento, e questa non sia concretamente disponibile, il concessionario della riscossione non si libera dell’obbligo di ostensione attraverso il rilascio del mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare una attestazione che dia atto dell’inesistenza della cartella, avendo cura di spiegarne le ragioni”.

Il rilievo peculiare e autonomo che sia la giurisprudenza che il legislatore hanno dato all’estratto di ruolo conferma che esso è un atto ontologicamente diverso dalla cartella di pagamento: il primo è un mero strumento di conoscenza, la seconda è un atto fondamentale del procedimento di esecuzione esattoriale che deve essere notificato al contribuente e conservato in copia a cura del Concessionario.

Corollario di tale ricostruzione è che ove il contribuente chiede accesso alla cartella di pagamento e questa rientri nel periodo di obbligatoria conservazione, è solo con il rilascio della copia della cartella di pagamento, e non con l’estratto di ruolo, che il Concessionario adempie esattamente ai suoi obblighi di ostensione.

 

 

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