L’art. 97 comma 2 della Cost. prevede che i pubblici uffici siano organizzati secondo disposizioni di legge, in modo tale che siano assicurati i principi di buon andamento e di imparzialità. Tale norma fonda a livello costituzionale il principio di legalità cui deve essere sottoposta non solo l’organizzazione bensì, in senso più ampio, tutta l’attività amministrativa.
Il rilievo costituzionale del principio di legalità si ricava, inoltre, indirettamente anche dagli artt. 24 e 113 Cost., norme che assoggettano l’attività amministrativa al controllo dell’autorità giudiziaria. Tale controllo, difatti, non potrà che vertere sulla verifica di un eventuale contrasto con norme di legge, la cui osservanza è pertanto imposta alla pubblica amministrazione già a livello costituzionale.
Il principio trova, in ogni caso, esplicita menzione nella normazione primaria, all’art. 1 L. 241/1990, secondo il quale l’attività amministrativa deve perseguire i fini stabiliti dalla legge.
Il principio di legalità implica innumerevoli corollari sul piano applicativo, tra i quali assumono rilievo i principi di tipicità e di nominatività dei provvedimenti amministrativi.
E’ necessario osservare, tuttavia, che la norma di legge che fonda il potere dell’amministrazione e che individua la finalità da perseguire, nonché lo schema procedimentale da utilizzare, non sempre riconosce all’ente procedente gli stessi margini di scelta.
A tal proposito, si distingue tra provvedimenti vincolati e provvedimenti discrezionali.
Per quanto attiene ai primi, il rapporto tra legge e provvedimento sottende un’accezione di legalità intesa in senso forte, considerato che la prima disciplina in modo rigoroso e puntuale il contenuto che dovrà avere il secondo, non lasciando all’amministrazione alcuno spazio per scelte differenti.
In tali casi, il contenuto dispositivo del provvedimento, caratterizzato da una motivazione semplificata, si limiterà a dare conto della ricognizione dei presupposti di fatto individuati dalla legge, seguendo pedissequamente lo schema procedimentale da questa previsto.
Il contenuto predeterminato del provvedimento consente al giudice un sindacato pieno, potendo quest’ultimo verificare se l’atto emanato sia stato rispettoso della rigida previsione normativa, ed anche sostituirsi all’amministrazione in caso di inerzia.
L’art. 31, co. 3 c.p.a., infatti, nel disciplinare l’azione avverso il silenzio-inadempimento prevede che il giudice possa pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio “quando si tratta di attività vincolata”.
Per quanto attiene, invece, ai provvedimenti discrezionali, essi corrispondono ad una accezione debole di legalità. Ed invero, per tali atti la legge, dopo aver attribuito il potere all’amministrazione e stabilito l’interesse pubblico da perseguire, consente all’organo procedente la facoltà di scegliere, tra più comportamenti leciti, quello ritenuto più opportuno per il perseguimento dell’interesse pubblico affidato alla sua cura. All’amministrazione la legge, talvolta, concede la libertà di scegliere se emettere o meno il provvedimento, in altri casi, invece, permette di stabilire il momento più opportuno per la sua emanazione
In ogni caso, si osserva come il provvedimento discrezionale, a differenza di quello vincolato, non si limiti ad applicare regole di legittimità poste dalla legge attributiva del potere e sindacabili dal giudice. Nell’esercizio della facoltà di scelta, invero, l’amministrazione applica anche regole di merito, ovvero regole non giuridiche di opportunità e convenienza che orientano l’azione nel perseguire l’interesse pubblico.
Tale area, non soggiacendo al principio di legalità, è sottratta al controllo giudiziale e costituisce un limite invalicabile al sindacato del giudice.