E' un dato di fatto che il fenomeno dell'immigrazione venga indirettamente contemplato e genericamente disciplinato dall'ordinamento italiano mediante formule di adattamento del diritto interno al diritto internazionale e comunitario ex ante. Si sente dunque l'esigenza di attivare meccanismi di monitoraggio psico sociologico atti ad approfondire tecnicamente l'impatto reale del fenomeno migratorio sulle comunità nazionali e di intercettare il feedback delle donne immigrate a scopi istituzionali. Pur vantando logiche di convergenza ed omogeneizzazione in tutti gli stati membri della UE, le norme comunitarie si rivelano spesso manchevoli, lacunose e deficitarie nella misura in cui non riescono a cogliere in tempi utili il dinamismo del fenomeno migratorio e il suo discontinuo effetto sulle singole comunità caratterizzate dalla significativa presenza femminile. Difatti, la condizione giuridica della donna straniera sul territorio italiano si conforma a trattati e norme internazionali attraverso gli aleatori sbocchi offerti dall'articolo 10 della Carta Costituzionale e da una pletora di norme nazionali susseguitesi nel tempo in modalità algida e ondivaga. Esse si sono rivelate incapaci di cogliere, ponderare e regolamentare con la dovuta puntualità la mutevolezza degli assetti sociali e delle aspettative femminili. Gli stessi orientamenti giuridici internazionali sembrano spesso disordinatamente tesi a disciplinare l'evoluzione dei fenomeni migratori rimanendo ancorati a posizioni sghembe e circoscritte, slegate quasi completamente dalle differenti reazioni esercitate dalle donne immigrate nei diversi contesti socio culturali. Sono dunque maturi i tempi per condurre un esame di dimensioni istituzionali proteso a mettere a fuoco le specificità femminili all'interno delle comunità di immigrati, stimando con opportune indagini statistiche impatti, adattamenti forzosi, disagi, possibili scenari demografici, opportunità, rischi ed eventuali strumenti correttivi. Dal momento che in passato sono emerse soltanto ricerche approssimative sull'argomento proposto, per lo più relegate ad ambiti extragovernativi limitati e localizzati, le indagini suggerite si distinguerebbero per la maggiore dimensione, l'elevato spessore dei contenuti e delle implicazioni tecniche rilevate. Queste ultime potrebbero individuare interessanti correlazioni, dipendenze funzionali, variabilità, punti di forza e debolezza della donna immigrata, sinora sfuggiti od ignorati. Essi, dopo appropriate rielaborazioni incentrate su variabili e mutabili statistiche, modelli regressivi lineari e appositi coefficienti, potrebbero rivelare gli esiti degli scostamenti fra le attese delle donne immigrate e i risultati realmente raggiunti, trend, concentrazioni e tendenze dalle quali estrapolare proficue indicazioni e spunti di riflessione. Non è sempre implicita, né automatica la risposta di adattamento individuale alle sollecitazioni economiche e sociali di un determinato contesto territoriale. Anzi, il gap spesso incolmabile fra vita auspicata e realtà effettiva potrebbe ingenerare problematiche talmente complesse e inattese da comprometterne la tangibilità effettiva. Ecco perché occorre supportare la politica dell'accoglienza con rigore istruttorio, tecnico e scientifico onde evitare di sprofondare in enfatici luoghi comuni ed evitare che i disagi femminili vengano in qualche modo traslati e cumulati a quelli dei nuclei familiari di appartenenza. L'urgente necessità di sviluppare un approfondimento esplicativo della condizione delle donne immigrate attraverso schemi e metodiche scientifiche incontra lucidi riscontri in analisi similari già condotte con apprezzabile soddisfazione in uno stato nordamericano noto per i mirabili traguardi raggiunti in campo economico e sociale, il Canada. Le predette osservazioni hanno contemplato le esperienze di vita di donne immigrate, non rifugiate, al fine di comprendere il processo decisionale che le ha portate ad immigrare nello stato americano e le loro esperienze dopo essersi insediate nel Paese ospitante. Si è utilizzata una metodologia quantitativa e qualitativa avviata su interviste fondate sulla persona, le aspettative, le delusioni, gli adeguamenti forzosi e le relative conseguenze. I risultati emersi dall'esame citato sono stati estremamente sorprendenti ed esemplificativi al tempo stesso perché è emersa solitudine, data la perdita delle reti sociali e dei sistemi di supporto di cui le donne immigrate godevano nei loro Paesi di origine. In secondo luogo, il fatto di avere figli piccoli e l'assenza di possibilità di lavoro evidenzia che queste donne trascorrano la maggior parte del tempo a casa. In terzo luogo, in alcuni casi, il marito era stato costretto addirittura a lasciare il Paese ospitante nordamericano per trovare lavoro altrove, a causa della mancanza di opportunità di impiego soddisfacenti. Questo disagio causava una solitudine ancor più marcata ed insidiosa per la donna. Sono inoltre emersi solitudine e isolamento, con tutti i problemi di salute mentale e le relative complicazioni debilitanti, potenzialmente connesse ad una situazione del genere, soprattutto nei primi anni successivi all'immigrazione stessa. E' auspicabile che in Italia venga intrapresa una ricerca simile avvalendosi di grandi campioni differenziati e rilevazioni statistiche su scala nazionale. La ricerca offrirebbe visioni più nitide e chiarificanti del fenomeno migratorio con particolare riferimento alla presenza femminile e ai suoi riflessi demografici sul territorio nazionale. I dati così acquisiti potrebbero finalmente affrancarsi da spinte speculative, retorica propaganda, strumentalizzazione politica e fragorosi interessi particolaristici. L'indagine riuscirebbe, inoltre, a focalizzare le prospettive previsionali idonee a praticare un'accoglienza più consapevole e meno scomposta in ossequio al principio del reciproco rispetto, non escludendo eventuali rimpatri nel solo interesse delle donne migranti, della loro salute e del benessere dei rispettivi nuclei familiari. Iniziare a valutare uno studio radicale del fenomeno migratorio finalizzato all'esplorazione delle problematiche femminili ad esso connesse significherebbe, in ogni caso, visualizzare tutti i nodi critici che hanno l'arduo compito di sciogliere gli operatori della salute mentale, i policy makers, i consulenti e gli operatori sociali. L'intento di apprezzabile spirito migliorativo è quello di catalizzare efficienti interventi terapeutici e correttivi a sostegno delle donne immigrate, della comunità circostante, della popolazione e dell'armonizzazione sociale, scongiurando in tal modo dannosi dissidi e potenziali squilibri. Che senso ha alimentare indiscriminatamente l'immigrazione se può implicare aggravi e congestioni di un sistema sanitario ed istituzionale già tramortito dalla burocrazia imperante, dalla inettitudine dilagante e dall'assenza di alternative dignitose di vita?