Mercoledì, 13 Novembre 2024 23:37

Mal d’Africa, Il Dna golpista

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 Qual è lo sport più diffuso in quella grande regione dell’Africa denominata Sahel, che ricomprende gli Stati africani di Mauritania, Senegal, Mali, Burkina Faso, Ciad, Sudan, Eritrea Niger e Nigeria, questi ultimi due Paesi ricchissimi di materie prime e, guarda caso, poverissimi? La pratica ci parla soprattutto di rivolte, guerre civili tra bande e fazioni armate e, dulcis in fundo, golpe a ripetizione. Com’è accaduto oggi in Niger e ieri in Mali e Burghina Faso, che hanno già tutte costoro la guerra in casa dichiarata dalle milizie fondamentaliste islamiche di Al Qaeda e Isis. Lo scenario del golpe è sempre lo stesso: un bel giorno in televisione appare un militare in divisa (con un corredo di medaglie e di mostrine da fare invidia a un museo dell’arte militare), circondato da altri militari in mimetica delle varie armi, spesso addestrati in Occidente. Il marziale portavoce annuncia poi in tono solenne la deposizione del sovrano o, come in questo caso, del Presidente eletto della Repubblica nigeriana Mohamed Bazoum, seguita dalla contestuale sospensione delle garanzie costituzionali e l’instaurazione dell’immancabile stato d’emergenza. E così, giovedì 27 luglio alle ore 23,30 il mondo è venuto a sapere dal paludato ufficiale di turno che si era verificato il colpo di stato a Niamey. La “junta” militare ha preso il nome di Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo (Cnsp). Il motivo del putsch? Al solito: “Il degrado delle condizioni di sicurezza e il malgoverno”. Salvo poi a dimostrare a tutto il mondo come nel corso degli anni la junta si dimostri molto peggio del governo deposto, in assenza di qualsiasi controllo e contrappeso costituzionale.

Poco tempo prima, nell’agosto del 2020, in Mali era accaduta la stessa cosa e, guarda caso, la Junta aveva preso lo stesso nome di Cnsp, deponendo il Presidente eletto Ibrahim Boubacar Keïta. Nel settembre 2021 è la volta della Guinea, dove a essere spodestato è Alpha Condé. A gennaio 2022 stessa sorte è toccata al Burghina Faso dove la Junta ha deposto il Capo dello Stato Roch Marc Christian Kaboré. Un domino perfetto e particolarmente destabilizzante per l’ex potenza coloniale francese e per l’Europa. In futuro, l’aumento dell’influenza russa nella regione avrà molto a che vedere con la guerra ibrida delle migrazioni africane e con quella della supply-war globale, da utilizzare come armi di ricatto contro l’Europa. Ovviamente, poiché l’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, ha minacciato di intervenire militarmente in Niger per ripristinare la legalità, allora le altre due Junte di Mali e Bughina Faso hanno immediatamente solidarizzato con i loro colleghi di Niamey, dichiarando che avrebbero schierato le proprie truppe a difesa del Niger. Se ci fosse stato al potere Ronald Reagan ne avrebbe di certo approfittato per finanziare le milizie islamiste (come fece in Afghanistan con Bin Laden e i suoi tagliagole, armandoli con i micidiali missili Stinger), con il fine di sabotare dall’interno i regimi militari di Mali, Burghina e Niger. Imitando l’Afghanistan degli anni 80, gli islamisti armati dall’Occidente potrebbero facilmente sbarazzarsi della Wagner che, come direbbe qualcuno, oggi appare anche in Africa “tutto chiacchiere e distintivo”. Certo, dopo di che l’Occidente si ritroverebbe con una versione africana del dramma afghano. Ma questo è tutto un altro discorso.

Il vero problema con il Niger riguarda l’eccessiva fiducia che, prima del golpe, l’Occidente aveva riposto nella persona e nel governo democratico di Bazoum per arginare i suoi scomodi vicini africani. A tal fine America e Francia avevano provveduto a formare e finanziare il riarmo dell’esercito regolare nigerino, nella segreta speranza di farne un alleato privilegiato e affidabile per il controllo di una regione del mondo particolarmente turbolenta, anche a causa della penetrazione jihadista dello Stato Islamico. E, in effetti, per lungo tempo il Niger è stato un’isola di democrazia in una terra di autocrazie instabili, fragili e turbolente, in conflitto permanente. Finora, in cambio di sostegni finanziari, forniture e supporto militari, il Niger ha dato una mano all’Europa a contenere i flussi delle rotte di migranti verso la Libia. A oggi, nel suo territorio sono ospitate basi americane utilizzate per operazioni con i droni, dato che dopo gli attentati del 2001 Washington aveva deciso di fare del Niger una sorta di piattaforma militare continentale. Grazie ai buoni rapporti con Parigi, anche l’Armée francese è ancora presente sul posto con un contingente di 1500 soldati, ma non ci resterà per molto, viste le violente proteste popolari (non si sa quanto spontanee), contrarie alla presenza di forze straniere, che si sono svolte nella capitale prendendo di mira l’ambasciata francese. Ed è proprio la Francia che il popolo nigerino rimprovera di essersi appropriata delle sue ricchezze, senza averlo liberato né dalla minaccia jihadista né dalla miseria, come lo stesso Macron aveva promesso.

Niamey tuttavia non è mai stata una vera e propria “oasi di stabilità”, data la sua collocazione geografica all’interno di una regione del mondo di guerre ininterrotte, che hanno coinvolto ben sei Stati su sette di quelli confinanti, a iniziare dalla Libia al nord, per finire a Ovest con Mali e Burkina Faso. In tutto questo, il Niger rimane tra i Paesi più poveri del mondo, malgrado le sue ricchezze minerarie (soprattutto uranio, che rappresenta il 7 percento della produzione mondiale). Per di più, demograficamente, la sua popolazione è giovanissima con un’età media di 14,8 anni, in conseguenza di un tasso di natalità pari a 6,8 figli per donna in età fertile. Trend quest’ultimo che porterebbe il Niger ad avere una popolazione di 70 milioni di abitanti nel 2050, pari cioè a 25 volte quella iniziale calcolata alla fine della colonizzazione. Senza possibilità di fermare il degrado conseguente ai cambiamenti climatici, il territorio nigerino continua a desertificarsi al ritmo di migliaia di ettari all’anno di terreno coltivabile, con il rischio conseguente di ulteriori carestie e migrazioni di massa. Politicamente, il deposto Presidente Bazoum, appartenente a un clan arabo minoritario, non si è attirato le simpatie dell’opposizione, che lo ha da sempre considerato una sorta di marionetta nelle mani di potenze straniere. Ora, a che serviranno le sanzioni occidentali, se non ad alimentare l’odio nei nostri confronti? A quando un Piano Mattei europeo per l’Africa?

 

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