Non una sola parola sparuta, isolata, casuale, stentata. Neppure un blando riferimento di circostanza sospinto dall'umana carità od una frettolosa citazione proferita con religioso rispetto. Non un solo frammento di sillaba scandito sul "land grabbing" e sulla efferata cacciata di intere comunità africane dai loro territori indotta da speculazioni e tornaconti di governi vari, potentati e fameliche multinazionali. Niente di niente. Dopo qualche settimana dagli scontri costati a Caserta un'ineffabile e vergognosa figuraccia dinanzi alla comunità internazionale per l'assalto compiuto ai danni di Luca Abete e della sua troupe televisiva da tre disperati e dissennati ambulanti di colore, il capoluogo di Terra di Lavoro non sa fare altro che blaterare di "accoglienza incondizionata" e di "Modello Caserta". Un presunto "modello esemplare" osannato durante la conferenza sull'immigrazione presieduta dalla Caritas e da esponenti nazionali del partito radicale come Emma Bonino, tenutasi a Caserta sabato 18 marzo 2017. Secondo intellettuali e liberi cittadini refrattari ai cacofonici clamori tuonati dalle poltrone e dai pulpiti all'ultimo grido il "modello Caserta" non è altro che il vaneggiamento delirante di ambiziosi sofisti che del "Buon Pastore" hanno ben poco. Secondo alcuni arguti osservatori il "modello Caserta" riferito all'integrazione fra cittadinanza locale ed immigrati sarebbe solo uno slogan astratto e puerile come l'allegoria sui "gatti neri". Stando ad alcuni educatori campani che criticano a ragion veduta il tenore della predetta conferenza, chiunque voglia incautamente avventurarsi nella sciagurata impresa di sostituire il termine "integrazione" con quello di "inclusione" per quanto concerne gli immigrati commetterebbe un pericolosissimo azzardo ed una stucchevole forzatura lessicale avulsa dalla nuda logica. Non è difatti auspicabile alcuna verosimile inclusione sprovvista di una preventiva e definitiva integrazione di socialità locale. Non sono dunque ammissibili forme inclusive coattive degli immigrati che prescindano in buona sostanza dagli innumerevoli squilibri territoriali che la stessa Chiesa ha implementato, d'intesa con le istituzioni (fatte salve rare eccezioni), attraverso la proliferazione di assensi, oppressive prelazioni ed umilianti clientele. Non è casuale che prolifichino in omertoso silenzio insidiosi dissidi sociali, lavorativi e culturali fra disperati e derelitti appartenenti a differenti etnie grazie al placet e all'apatia di rappresentanti ecclesiastici e governativi. Se l'inclusione che i leaders della Caritas vorrebbero sdoganare tacitamente dovesse rappresentare solo un penoso escamotage per sottacere il "land grabbing" africano e i cocenti drammi della Campania, semplificati e ridotti a mera dimensione strutturale, allora la "misericordia" rischierebbe di diventare davvero estremamente "pelosa". E' fin troppo agevole, difatti, ostentare un apparente simulacro di umanità e benevolenza celando ipocrisia e avidità dietro la "peluria" della disinformazione fuorviante e dei luoghi comuni. Purtroppo è convinzione diffusa che pochissimi esponenti del clero, uomini istituzionali dotati di abiti civili o paramenti sacri si siano spesi fattivamente per l'Africa ed il popolo africano, se non per ambigui motivi di facciata legati alle proprie rendite di posizione. L'Africa è il primo continente per accaparramento fraudolento di terre che, oltre a restringere drasticamente le aree destinate alla coltivazione e all'allevamento delle popolazioni locali compromette irreversibilmente la sicurezza alimentare, la distribuzione degli alimenti e la sostenibilità di tutto il Pianeta. Anteporre incondizionatamente l'inclusione degli immigrati a qualunque indispensabile forma di preventiva perequazione sociale e responsabilizzazione istituzionale come vorrebbe la Caritas è un avventuroso disegno certamente più prossimo alla politica monolitica e monodirezionale che alla carità cristiana. Sarebbe un imperdonabile schiaffo alla dignità umana lasciar prevalere le distrazioni rappresentate dall'integrazione sulle piaghe delle terre campane e nazionali arse dai veleni della chimica e dell'indifferenza. A prescindere dalle considerazioni suddette, fa molto riflettere l'osmosi politica dell' ordine sacerdotale le cui profondissime tracce sono vividamente custodite negli archivi storici e negli annali sin dal lontanissimo Medioevo. A quel tempo vescovi e prelati solevano spartirsi prebende e lucrare abilmente sui sontuosi beni immobili e le estese proprietà ricevute in dono da sovrani e regnanti. Ma è bene rammentare che nel corso della storia è stato necessario più volte inibire la virale tradizione della Chiesa. Fu Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero, a liberare la Chiesa dalle catene di agi, privilegi e mire espansionistiche di vescovi e prelati, generando stupori che il tempo dovrebbe riproporre più spesso.