Dall’attenta lettura dei fatti inerenti le denunce del racket si ha l’impressione diffusa che le istituzioni nell’area di Terra di Lavoro siano poco più di un immane bluff. Gli imprenditori casertani e quelli italiani in genere, sottomessi prima dal fisco e poi dallo Stato che li condanna alla fame senza pietà sono né più né meno come i suicidi da insolvenza: non si contano più. E’ quanto emerge dal monito di un noto imprenditore casertano impegnato nel settore lattiero caseario che dopo aver denunziato i suoi strozzini è stato schiacciato dal più letale dei veleni statali, la burocrazia. Si tratta di un sistema tentacolare che è stato predisposto ad hoc per sferrare il colpo di grazia a quanti confidano ingenuamente nel riscatto dello Stato e naufragano fra deliri democratici di sovranità popolare stramazzando fra le spire mortali dei comparti istituzionali. Quello che ha soggiogato l’imprenditore casertano e, a quanto emerge da una sua denuncia, tanti altri suoi colleghi, sono stati gli adempimenti che commissariato antiracket e Prefettura di Caserta non sono riusciti ad ultimare in tempi utili all’erogazione del risarcimento riconosciuto alle vittime del racket e dell’usura. I beni personali dell’imprenditore casertano e la sua azienda verranno posti all’incanto in breve tempo proprio a causa di un’ omissione come quella succitata. Tra le righe di questa tragedia inenarrabile come tante altre similari si scorge l’angoscioso e penoso senso di nocumento che l’apparato statale riserva insidiosamente a quanti si affidano alle sue norme asimmetriche e disfunzionali. Lo Stato si configura in tal guisa come un guardiano assenteista che si prende gioco dei suoi adepti mentre fissa regole in contraddizione sottese a logiche di favoreggiamento, fa terra bruciata della sua sovranità e millanta credito gratuito ad uso e consumo di ristrette oligarchie di faccendieri e feudatari senza scrupoli.