Venerdì, 22 Novembre 2024 17:45

Sistema bancario ko, 2016 a rischio per gli istituti di credito italiani

Pubblicato in Economia e Diritto

Ci hanno letteralmente massacrati di prediche moleste che esaltavano il sistema bancario italiano e i suoi primati di sicurezza e trasparenza, pur di rassicurare dolosamente clienti e retailers. Ma i falsi miti si sciolgono come neve al sole. Le quattro banche risolte e salvate con il decreto creato ad hoc per accreditarle hanno venduto senza troppi scrupoli titoli subordinati dal profilo complesso e insidioso ad azionisti e obbligazionisti con il placet di Consob e Bankitalia. Le maggiori istituzioni alle quali viene solitamente affidato il controllo di transazioni e operazioni finanziarie si sono mostrate, difatti, in armonia con la governance sino a sdoganare, senza andare troppo per il sottile, crediti ed avalli ad imprese ed industrie che grandi colossi bancari avevano precedentemente rifiutato. Circa 140mila malcapitati tra azionisti, obbligazionisti e clienti degli istituti di credito suddetti sono in attesa di fantomatiche forme di ristoro per le ingenti perdite subite in ragione dell’accaparramento degli artificiosi titoli posti sotto accusa, alienati a cuor leggero. Si discute se questo rimborso debba avvenire in proporzione del reddito degli stessi clienti. Come se bastasse il pensiero a risarcire quanti, a ragion veduta, si sentono defraudati, derubati e vessati da banche e istituzioni. Forse proprio le istituzioni pensano di tassare in qualche modo, gli stessi risarcimenti spettanti ad azionisti, obbligazionisti e correntisti: una sberla che al danno aggiungerebbe la beffa. Quel che emerge con nettezza marchiana sono, piuttosto, l’estrema caducità e l’alea sinistra che ammanta le transazioni bancarie italiane. Non si scorge nessuna buona ragione in nome della quale una banca non possa fallire alla stregua di qualunque altra impresa. I responsabili del tracollo, artefici di scelte avventate, scellerate e dissennate andrebbero immediatamente sbattuti di fronte alle proprie responsabilità senza indugi, sconti di pena o salvataggi rocamboleschi. Il permissivismo blando della Consob, non meno evidente di taluni opachi orientamenti accertatori dell’Agenzia delle Entrate, hanno poi apposto una pesante ipoteca sulla stabilità e la credibilità di banche e istituzioni creditizie. Segno che nessun correntista, azionista od obbligazionista, potrà dormire sonni placidi e sereni. Per mettere in ginocchio contribuenti e risparmiatori onesti, del resto, bastano una logora penna a sfera tanto quanto una sontuosa stilografica. Lo sanno bene i dirigenti di Agenzie delle Entrate giudicati illegittimi dalla Corte Costituzionale e le fondazioni bancarie. Se il sistema bancario inizia a incrinarsi fragorosamente, quello economico non brilla affatto, nonostante le dicerie oniriche e deliranti sulla presunta “marcia ripresa” biascicate sconsideratamente dalla tv di stato e dal disconnesso premier. Nonostante le svalutazioni del cambio il Bel Paese soffre di un vistoso calo nell’export, maggiormente concentrato nel settore tessile e manifatturiero, un tempo autentiche eccellenze nazionali. Dunque, cala ulteriormente la domanda globale, già severamente penalizzata dalla caduta degli investimenti privati. Un mix distruttivo che si riverbera infaustamente sui già scemanti livelli occupazionali. Vi è di più: alla disoccupazione giovanile crescente si affianca il problema degli inoccupati. Si tratta di persone che non hanno mai lavorato formalmente, essendo alla ricerca di prima occupazione, a meno che non abbiano deliberatamente scelto di lavorare in nero. Crollano anche gli occupati di lunga durata, segno che le occupazioni prodotte dal mercato del lavoro sono transitorie e qualitativamente peggiori. Aumenta di riflesso anche il numero degli inattivi, ovvero di quelle persone che hanno definitivamente rinunciato a cercare un lavoro, scoraggiate o demotivate da un mercato che ha abdicato a premialità e meritocrazia in favore di clientele e nepotismo. E come se tutto ciò non bastasse, anche la crisi del credito miete le sue vittime. Diminuisce difatti la domanda di liquidità bancaria con conseguenze a dir poco devastanti. E la tanto reclamizzata politica industriale che il nostro esecutivo si accinge ad attivare nel nuovo anno? Una vera e propria mina vagante, a metà strada fra un handicap e un’incognita insidiosa. La maestosa politica di sviluppo annunciata disordinatamente con la foga di mercanti da strapazzo e falliti pentolai è destinata ad essere alimentata da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), un’istituzione ondivaga e imprevedibile, il cui capitale appartiene per l’80% al Tesoro e per il restante 20% a Poste Italiane. Vale la pena rammentare che CDP si è già distinta in un passato non troppo lontano per aver sanato Alitalia, un’azienda dove per anni hanno imperato scelte e assunzioni discutibili. Stando al parere espresso da economisti ed analisti accreditati sarebbe dunque legittimo temere che il denaro di quanti confidano nella stabilità di obbligazioni e buoni fruttiferi di Poste Italiane venga impiegato per sostenere imprese in declino nelle quali proliferano rendite dei burocrati amici degli amici ed interessi di consorterie del tutto estranei a quelli collettivi. Se così fosse non si tratterebbe di politica industriale ma di manovre mirate alla selezione di preferenze e discriminazioni economiche che evocano i vietati aiuti di Stato. Grazie alla recente quotazione in borsa Poste Italiane si integra perfettamente nel sistema bancario condividendone in perfetta armonia prospettive e ambigue distorsioni come il “bail-in” (l’onere di mettere in salvo l’istituto in caso di fallimento incombente su correntisti, azionisti ed obbligazionisti). Insomma, non è escluso che se tutto va bene il 2016 potrebbe riservare amare sorprese.

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