Da oltre due millenni un vecchio saggio greco dal carattere bizzarro e stravagante cerca affannosamente senza esito le qualità naturali dell'uomo, avvalendosi di una lanterna e della compagnia di un cane fedele. E' Diogene di Sinope, un eclettico saggio che disprezzava con le urine la vanagloria dell'uomo e la sua penosa arroganza, oggi più che mai enfatizzata da deliri di onnipotenza e vaneggiamenti di progredita civiltà. Aveva senz'altro ragione Diogene ad "abbaiare" a quanti non riescono a donare nulla nel corso della propria esistenza perché i superficiali, gli ignavi e i presuntuosi hanno ben poco da tramandare e ancor meno da offrire. Sarebbe davvero chiedere troppo domandare all'uomo moderno di ergersi al di sopra dei suoi effimeri abbagli tecnologici e riappropriarsi delle proprie virtù perché albagia e ostentazione sono le più ricorrenti e banali seduzioni dell'ignoranza. Un'ignoranza disconosciuta dai Fenici che costruivano poderose navi mercantili lunghe oltre 35 metri in meno di 11 giorni. Essi, avvalendosi soltanto di tecnica ed ingegno riuscivano ad assemblare gli scafi delle proprie imbarcazioni, note peraltro in tutto il Mediterraneo per imponenza, impiegando sezioni di legno di quercia e di cedro sapientemente ed opportunamente incastrate fra loro. Ai Fenici non servivano certo tecnologie sofisticate, apparati digitali e innovazioni informatiche per solcare le onde. Ad essi bastava un semplice sistema di legni ad incastro per circumnavigare l'Africa e il buonsenso necessario ad affrontare le avversità del mare durante il giorno e la notte. Ma tracce di arguto ingegno dell'uomo che oggi Diogene non scorgerebbe neppure con l'ausilio di un faro si ravvisano anche nell'Italia del passato che fu e precisamente in Toscana. Basti pensare che per quasi 1200 anni il Ducato di Lucca ha accresciuto la propria ricchezza battendo monete proprie autonomamente. La zecca di Lucca, difatti, è la più antica d'Europa avendo coniato monete proprie dal 650 al 1843. E' anche ad esse che si deve il prestigio economico e finanziario che mercanti, banchieri e commercianti lucchesi conseguirono in tutta la penisola e nel mondo senza il supporto di unioni monetarie e doganali. Ma forse, l'apice dello splendore in ordine a cultura, civiltà, politica ed ingegno andrebbe tributato al sovrano del Sacro Romano Impero che, non a caso, induce stupore nei secoli: Federico ll di Svevia. Sono noti a tutti i primati giuridici raggiunti dal poliedrico e colto imperatore per quanto concerne le disposizioni sulle responsabilità civili e processuali dei giudici, sul principio inquisitorio e sul rigore etico scientifico di medici e chirurghi. Meno note e più scomode da menzionare risultano essere, invece, le crociate che il Re d'Italia e dei Romani condusse per contrastare l'ignoranza, i privilegi di casta e i favori del clero: autentiche e vergognose ignominie che hanno definitivamente soppresso l'umana dignità in nome del presunto progresso e della illusoria democrazia. Forse Diogene è destinata a vagare ancora per molto: il tronfio individualismo di quel che resta dell'uomo è la sua essenza e al tempo stesso la sua crudele condanna.