Gli intrugli malefici della chimica non sono la soluzione alla gestione del diserbo in ambito di sostenibilità agricola ed alimentare. Dopo decenni di lunghissimi dibattiti ed elucubrazioni sui diserbanti chimici è emerso a loro carico un giudizio “CMR”, riconosciuto peraltro anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. CMR sta per “cancerogeno, mutogeno, riproduttivo”: ciò vuol dire che la biodegradabilità dei diserbanti chimici è solo parziale e che, perciò, sono destinati a permanere nel terreno per lunghissimi tempi penetrando nelle coltivazioni agricole e danneggiando la salute umana d animale in maniera irreversibile. Dal 2014 è in corso una campagna di sensibilizzazione ed informazione tentacolare che sta lentamente permeando tutte le regioni italiane, Campania compresa. Le prospettive di sostenibilità alimentare ben si sposano con le strategie seguite dall’agricoltura bioetica che prevede un caleidoscopio di alternative alla chimica nell’interesse della sicurezza alimentare. Preparare il terreno con un’adeguata pacciamatura è una valida strategia diserbante che consta di una copertura adeguata della terra da coltivare con elementi in corteccia, lapilli e altri materiali che impediscano la riproduzione delle erbe indesiderate. In alternativa, è possibile intervenire con acidi come l’acido pelargonico e l’acido acetico oppure con il “pirodiserbo”, il diserbo eseguito tramite fiamma. Attraverso la tecnica del pirodiserbo è possibile scottare le erbe indesiderate senza bruciarle: la conseguente scottatura delle erbe infestanti detta “lessatura”, provoca una sensibile perdita di acqua che ne causa inevitabilmente la morte. Il pirodiserbo è doppiamente sostenibile perché viene praticato mediante l’uso del GPL che libera nell’ambiente solo piccolissime parti di anidride carbonica e vapore acqueo, oltre ad essere estremamente economico. La sensibilizzazione della popolazione italiana in ordine al danno da utilizzo del diserbo chimico si sta diffondendo rapidamente anche nel Sud dell’Italia come dimostra l’ instancabile opera divulgativa del CODACONS del Vallo di Diano e l’amministrazione del Comune di Atena Lucana (Salerno) che ha espressamente vietato l’uso di erbicidi di origine chimica. La sensibilizzazione del CODACONS sta lentamente diffondendosi in buona parte della provincia di Salerno ed il Comune che sembra aver recepito con maggiore reattività i segnali dell’informativa succitata è stato quello di Teggiano, dove si sono innescati procedimenti divulgativi apprezzati da agricoltori e cittadini. Fu il botanico Giapponese Masanobu Fukuoka a dimostrare con evidenti riscontri in Africa ed Asia l’inutilità e la dannosità dell’agricoltura intensiva suggerendone la sostituzione con strategie semplici e rivoluzionarie al tempo stesso afferenti all’agricoltura naturale o bioetica. Nel suo libro famoso in tutto il mondo, “La Rivoluzione del Filo di Paglia”, il botanico giapponese dimostra l’inutilità degli apporti chimici e tecnologici somministrati al terreno, unico ed insostituibile protagonista della sua resa in ordine ai prodotti che è in grado di generare autonomamente. Le indicazioni di Fukuoka denotano senza ombra di dubbio un importante punto di riferimento dell’agricoltura sostenibile e preconizzano in tempi attuali interessanti certezze in materia di sicurezza alimentare. I punti di forza delle tecniche agronomiche suggerite dal botanico giapponese risiedono nel rispetto delle inclinazioni fisiologiche della terra verso determinate colture e nell’uso di fertilizzanti ed erbicidi naturali quali paglia, argilla, lapilli e tecniche di alternanza, grazie alle quali è stato possibile implementare in modo assolutamente sostenibile abbondanti coltivazioni di ortaggi, agrumi, grano e riso in tutta l’Asia. Anche i fertilizzanti ed i concimi che in qualche modo intercettano componenti chimici possono diventare tossici e poco sostenibili per quanto concerne la sicurezza alimentare. Anche il letame, comunemente apprezzato da generazioni di agronomi ed agricoltori per l’elevato potenziale naturale di concimazione su terreni e coltivazioni presenta insidie di un certo spessore, non meno complesse di quelle associate a principi attivi fitosanitari ed erbicidi in genere. Difatti, la maggior parte del letame prodotto proviene da allevamenti intensivi che somministrano ad animali e foraggi un apprezzabile quantitativo di sostanze chimiche spesso nocive come pesticidi, ormoni, antibiotici e prodotti di sintesi che enfatizzano la crescita degli animali stessi. Prodotti che penetrano inevitabilmente nel metabolismo dell’ animale e caratterizzano il suo assorbimento sino a concentrarsi in buona consistenza nelle sostanze di scarto e di rifiuto. Quello che, dunque, viene comunemente inteso come un concime “naturale” finisce per veicolare ingenti quantità di sostanze tossiche e dannose come virus e agenti patogeni resistenti ad antibiotici e approcci curativi tradizionali. Anche nei processi di compostaggio comunemente usati per la produzione di energia attraverso la generazione di biogas occorre dunque porre notevole attenzione alle sostanze di scarto animale liberate nell’ambiente a fini di fertilizzazione. Difatti, le scorie derivanti da tali processi sono in grado di cedere essenze tutt’altro che benefiche e fertilizzanti ai terreni coltivati, peraltro a titolo oneroso. L’assurdo paradosso di questa già insanabile contraddizione è proprio quello di far pagare il “concime naturale” che altri gettano via. Si tratta di un fertilizzante nocivo per le sostanze che ingloba, capace di attribuire gravose ipoteche sulla “Food Safety”, sulla sostenibilità di colture e superfici coltivabili e, infine, notevoli costi irrecuperabili (Sunk Costs) a carico della comunità e dell’intero sistema economico. Stando al giudizio di esperti, scienziati ed addetti ai lavori i fertilizzanti più inclini alla sostenibilità e alla sicurezza alimentare sono prevalentemente composti di origine vegetale tra i quali troviamo realtà affascinanti come “l’Ascophillum Nodosum”. Si tratta di un’alga dalle proprietà biostimolanti e antiossidanti che ha subito un severo processo di selezione nel suo habitat naturale, le rocciose coste dell’Irlanda. Una selezione naturale che ha catalizzato un riconosciuto potere evolutivo dell’alga, capace di sviluppare ed amplificare i principi attivi in essa contenuti. L’alga sopravvive da secoli a mutamenti continui di salinità, variazioni climatiche e di maree fino a trovare largo impiego come fertilizzante naturale fra gli agricoltori irlandesi. Essi la utilizzano da sempre con mirabili riscontri nelle coltivazioni di ogni tipologia e le sue generose dimensioni di circa un metro e mezzo hanno spinto botanici e scienziati a trasformarla con metodiche naturali in un proficuo concime biologico di grande efficacia e superba efficienza, come evidenziano gli ampi risultati raggiunti in tutto il mondo. Realtà come quella dell’alga irlandese, delle tecniche orientali predette e dell’equiseto, altro fertilizzante naturale disponibile in massicce quantità e basso costo di gestione, rappresentano il punto di riferimento imprescindibile al quale l’autocoscienza e l’agricoltura responsabile debbono inesorabilmente tendere per recuperare degni livelli di sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare prima di raggiungere il punto di non ritorno.