L’obesità, nel mondo, è in allarmante aumento al punto da assumere i caratteri di un’epidemia globale (globesity). In relazione ai dati pubblicati dall’International Obesity Task Force, oltre un miliardo di persone adulte sono in sovrappeso e, di queste, circa 310 milioni obese. Nei bambini/adolescenti le stime rispettive sono di circa 160 e 40 milioni. Parliamo di una condizione cronica spesso di difficile trattamento, per ovviare alla quale, contrariamente all’opinione comune, una dieta equilibrata, abbinata all’ esercizio fisico, non sempre è abbastanza. Si stima quasi la metà della popolazione essere in sovrappeso; la percentuale dei soggetti francamente obesi, invece, varia dal 10 al 20% negli uomini e dal 15 al 25% nelle donne. Anche in Italia l’obesità rappresenta un problema sanitario di crescente e pressante eco. Si stima oltre il 35% di soggetti in sovrappeso, in prevalenza di sesso maschile, e circa il 10% di soggetti francamente obesi, in lieve prevalenza di sesso femminile e nelle regioni meridionali. L’andamento è in preoccupante crescita considerando che il numero degli obesi, dal 1994 ad oggi, è aumentato del 25%. Il tasso di mortalità crescente, che ne consegue, rappresenta un altro serio problema per la salute pubblica. In Europa ogni anno, almeno un decesso su 13 è ritenuto correlato all’eccesso di peso. Ma non sempre si ingrassa a seguito di un’alimentazione sbagliata; un insieme di concause, di natura psicologica o ormonale, possono concorrere in maniera drastica al cambiamento delle condizioni di vita di un individuo. Nel primo caso parliamo di obesità psicogena. Il paziente affetto presenta un marcato sovrappeso in assenza di cause mediche che lo giustifichino; il suo quadro clinico può manifestare comorbidità con altri disturbi psichici (Depressione Maggiore, Disturbi di Personalità, Psicosi). Non parliamo di soggetti bulimici: niente “abboffate” tipiche della bulimia, limitate nel tempo ed accompagnate da sensazione di perdita del controllo e senso di colpa. Il cibo, invece, è usato come compensazione a fronte di stati d’animo ansiosi o depressivi e, più in generale, di un significativo disagio psicologico. L’iperalimentazione dunque quale strumento di difesa o offesa. E’ difesa dalle aggressioni esterne, quando la massa adiposa in eccesso forma una barriera protettiva che preserva il paziente dal senso di vuoto e tristezza (illusione di “essere una persona di peso”). Diviene strumento offensivo di autolesionismo, quando suscita fantasie distruttive (“mangiare fino a scoppiare”) e, l’obesità che ne consegue, è correlata ad un alto rischio di mortalità. Per descrivere in maniera consona l’obesità scaturita da problemi ormonali, è necessario definire l’iperproduzione di insulina. Tra gli ormoni che maggiormente risentono delle alterazioni metaboliche proprie dell’obesità, particolare attenzione merita l’insulina. Emessa dal pancreas, ha la funzione di regolare i livelli ematici di glucosio, favorendone l’ingresso nelle cellule, così da essere utilizzato come carburante per lo svolgimento dei processi metabolici. L’iperinsulinemia è conseguenza di una “resistenza” a questo ormone, in soggetti con un regime alimentare ipercalorico generalmente ad elevato consumo di carboidrati (dolci ma anche pane pasta, ecc.). La “resistenza all’insulina” nasce come tentativo da parte dell’organismo di proteggersi dall’obesità. Essa infatti dovrebbe neutralizzare l’azione dell’ormone “anabolico” per eccellenza, responsabile dell’accumulo di grasso; alla lunga però, a fronte di un introito calorico sempre maggiore, il pancreas incrementa le quantità di insulina fino a vincere, tardivamente e abnormemente, tale resistenza. Da qui, anche se in ritardo rispetto al soggetto sano (tre-quattro ore dopo il pasto), tutto il glucosio entra rapidamente nelle cellule per essere utilizzato, ed accumulato, sotto forma di grasso. Questo squilibrio metabolico rende la risposta alle eventuali diete molto meno efficace; inoltre le possibili crisi ipoglicemiche post prandiali aumentano l’appetito e la sensazione di “crisi d’astinenza” da zuccheri. E’ qui che si degenera in patologia. La chirurgia bariatrica, in tali circostanze, rappresenta un'opzione terapeutica valida. Le continue ricerche ed i perfezionamenti conseguenti la moderna ricerca scientifica, hanno ridotto i rischi ad una percentuale bassa al punto da risultare quasi insignificante. Le procedure sono molteplici; le più comuni: il bendaggio gastrico, mediante resezione chirurgica (gastrectomia verticale parziale o diversione biliopancreatica con switch duodenale), la sleeve gastrectomy, (SG, gastrectomia a manica) una resezione verticale praticata lungo la grande curvatura dello stomaco mediante la quale si asporta completamente il fondo gastrico (ottenendo uno stomaco residuo di 60-150 ml ) ed il bypass gastrico (e sue varianti), cioè la creazione di una piccola tasca gastrica collegata direttamente ad una sezione dell'intestino tenue. Laddove persistano traumi psicologici, però, non è detto che la chirurgia rappresenti un metodo risolutivo; la forte determinazione del paziente ad attenersi a rigorose linee guida alimentari ed a svolgere una regolare attività fisica è sicuramente un fattore determinante il buon esito dell’intervento. Si rendono spesso necessari, inoltre, anche un follow-up a lungo termine ed una terapia psicologica.