Giovedì, 24 Aprile 2025 14:41

Progetto C40: il futuro delle metropoli sarà la prigione digitale del cittadino.

Pubblicato in Politica

Il progetto C40, nato con l’intento dichiarato di promuovere azioni concrete contro il cambiamento climatico nelle grandi città del mondo, è oggi una delle più vaste reti internazionali di metropoli impegnate nella trasformazione urbana sostenibile. Include oltre cento città, tra cui Milano, Roma, Parigi, Berlino, Madrid, Barcellona, Londra, New York, e vede coinvolti sindaci influenti come Beppe Sala e Roberto Gualtieri, entrambi attivamente impegnati in numerose reti e consessi internazionali, inclusi quelli legati al clima, all’urbanistica e alla tecnologia. Il progetto si articola attraverso strategie di riduzione delle emissioni, elettrificazione dei trasporti, digitalizzazione dei servizi, transizione energetica, gestione efficiente dei rifiuti urbani. Fin qui la narrazione ufficiale. Ma dietro il linguaggio della sostenibilità, dell’innovazione e del progresso, si dischiude una visione profondamente trasformativa – e per certi versi inquietante – del vivere urbano. A sostenere economicamente e ideologicamente parte del progetto C40, vi è anche l’Open Society Foundations, la rete globale fondata da George Soros, il cui coinvolgimento, sebbene legittimo e noto, ha alimentato narrazioni controverse e sospetti in numerosi ambienti critici verso i processi di global governance. La presenza dell’Open Society nei meccanismi di finanziamento e promozione di molte iniziative urbane ha acceso il dibattito pubblico sul ruolo delle fondazioni private nel definire le agende pubbliche e sulla permeabilità delle istituzioni democratiche locali rispetto agli interessi sovranazionali. A questo si aggiunge una riflessione più ampia, già prefigurata dalle analisi di Adam Greenfield, teorico delle smart cities, che ha messo in guardia contro un modello urbano iperconnesso dove l’automazione, l’algoritmizzazione e la sorveglianza pervadono ogni spazio. Le città C40, così come progettate, rischiano di diventare lo scenario perfetto per un’urbanistica del controllo, in cui ogni spostamento, ogni attività, ogni interazione viene monitorata, registrata, valutata. In questa visione, la città non è più un organismo vivo, caotico e libero, ma un’infrastruttura razionalizzata dove l’essere umano si muove come un dato, un parametro, una funzione ottimizzabile. Il richiamo a Metropolis di Fritz Lang non è casuale. Quel film, girato nel 1927 in un’Europa ancora inquieta, prefigurava una città verticalizzata e distopica, fondata su una rigida divisione tra classi, sorvegliata e meccanizzata. Nel 1933 Fritz Lang fu convocato da Joseph Goebbels, che gli offrì la direzione dell’industria cinematografica del Terzo Reich, dichiarando che Metropolis era stato molto apprezzato anche da Hitler. Lang fece presente la sua origine ebraica, ma Goebbels rispose che nel nuovo Reich sarebbero stati loro a decidere chi fosse ebreo e chi no. Lang, spaventato, lasciò immediatamente la Germania e si rifugiò in Francia, per poi emigrare negli Stati Uniti. Non tornò mai più. La scenografia di Metropolis fu ispirata ai bozzetti dell’architetto futurista Antonio Sant’Elia, la cui estetica industriale e monumentale anticipava molte delle architetture del potere novecentesco. Similmente, Blade Runner ci mostra una Los Angeles decadente, tecnologicamente avanzata ma umanamente arida, dove Rick Deckard è incaricato di eliminare replicanti: esseri artificiali troppo simili agli umani, in una città che sembra aver perso il senso stesso dell’umanità. In entrambi i casi, ciò che emerge è una città non più al servizio dell’uomo, ma l’uomo al servizio della città. Una distopia estetizzata, dove la tecnologia – anziché liberare – diventa strumento di dominio, dove la razionalità diventa sorveglianza, dove l’ordine urbano diventa controllo sociale. Ed è qui che l’intreccio tra sicurezza, sostenibilità e tecnologia si fa più problematico. Il cittadino contemporaneo, in nome della sicurezza, ha accettato un patto non scritto: la rinuncia progressiva alla propria privacy. Una cronaca costruita con metodo – furti, aggressioni, violenze, disordini, crisi migratorie – è diventata la colonna sonora di un discorso pubblico che spinge alla paura e quindi alla richiesta di controllo. Telecamere ovunque, accessi biometrici, algoritmi predittivi. L’opinione pubblica è stata abituata ad accettare tutto ciò come necessario, naturale, desiderabile. E nel farlo, ha rinunciato al dissenso. Ogni pensiero critico, ogni voce fuori dal coro, ogni devianza narrativa viene percepita come un rischio, come un’eccezione da contenere.

È in questo nuovo ordine che le città del C40 si collocano: modelli di efficienza e sostenibilità, ma anche laboratori di una governance urbana che può facilmente trasformarsi in sorveglianza pervasiva. Il massimo a cui ha sempre aspirato il potere – il controllo totale della società attraverso la tecnologia – sembra oggi non solo possibile, ma persino desiderato dai cittadini stessi. Essere umani, imprigionati in nidi di cemento armato, sotto uno sguardo digitale permanente, in una città che promette protezione ma offre subordinazione. Nessuna imposizione, nessuna dittatura evidente, ma solo una lenta, progressiva, volontaria cessione della libertà. In nome della sicurezza, il cittadino contemporaneo ha accettato, senza nemmeno rendersene conto, di sacrificare la propria privacy, convinto che la protezione sia la nuova forma di libertà. La paura, costruita ad arte dai media, ha creato un clima di costante allerta, in cui furti, aggressioni e crisi migratorie vengono amplificati fino a diventare il terreno fertile per una richiesta di controllo sempre più stringente. Telecamere ovunque, algoritmi predittivi, accessi biometrici sono diventati strumenti che sembrano non solo necessari, ma addirittura desiderabili. In questo nuovo ordine urbano, la sorveglianza non è più un’imposizione, ma una condizione accettata, e il dissenso, percepito come una minaccia, viene ridotto al silenzio a “colpi di fiducia”, annichilendo anche il dibattito parlamentare. Le città del futuro, come quelle promosse dal progetto C40, appaiono come modelli di efficienza e sostenibilità, ma sono solo laboratori per il controllo totale, dove la paura viene monetizzata e la promessa di sicurezza si vende al metro quadro. Il confine tra protezione e oppressione si fa ogni giorno più sottile, mentre la libertà viene lentamente ceduta al conforto di una sorveglianza che si fa invisibile ma onnipresente. Il futuro delle nostre metropoli sembra già essere scritto, un futuro modellato in nome di un occhio elettronico onnisciente che ci osserva, ci valuta, ci ottimizza, ci calma. Un patto non scritto, ma sottinteso, in cui ogni cittadino diventa una variabile da ottimizzare in un sistema dove la libertà si dissolve nel comfort della sicurezza. Imprigionati, inconsapevoli, sotto lo sguardo digitale perenne, rinunciamo a ciò che ci rende liberi, a ciò che ci rende umani.

 

Luigi Speciale   

Fonti:

 

C40 Cities Climate Leadership Group. Our History.https://www.c40.org.

 

Fritz Lang and Joseph Goebbels: The Story of an Escape. Cinema Austriaco.

 https://cinema-austriaco.org/en/2020/01/12/fritz-lang-and-joseph-goebbels-the-story-of-an-escape/

 

Sant’Elia, Antonio. La Città Nuova. Milano: Edizioni di Comunità, 1949.

 

Greenfield, Adam. Against the Smart City. 2013.

. https://urbanomnibus.net/2013/10/against-the-smart-city/

 

Sala, Giuseppe. "Mayor of Milan." C40 Cities. https://www.c40.org.

                                                                                                             

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