Giovani si nasce. Difficile è restarlo, soprattutto nelle età successive: quelle critiche dell'adolescenza, della maturità e della vecchiaia. Anche se vale il bellissimo detto di Picasso: "Per diventare giovani, veramente giovani ci vuole molto, ma molto tempo...!". Gli intellettuali della mia età sanno bene come le parole del grande artista spagnolo siano vangelo, e le vivono riempiendo a modo loro i precedenti puntini di sospensione. A proposito di gioventù moderna, il filosofo Umberto Galimberti raccoglie nel suo libro "La parola ai giovani" (Feltrinelli Editore, 2018) alcune lettere collazionate negli anni, rispondendo ai lettori nella sua rubrica specifica che appare all'interno dell'inserto domenicale "D, la Repubblica delle donne". Strano mondo il nostro. I giovani sono il futuro ma non hanno un futuro. Derubato come i loro sogni da un precariato lavorativo e dalla dittatura di un Mercato (l'Essere universale senza forma ma che ha tutte le forme per piacere) che li fa soggetti passivi per il consumo di beni sempre più seriali, esaltati da potenti vettori emulativi. Ne consegue che chi mantiene atteggiamenti anarchici e agnostici, rifiutando l'anonimia gruppale (magari leggendo molti libri e tenendosi alla larga dai social network!), si autoconfina all'isolamento e alla marginalizzazione punitiva di quel suo Io che si sente e si vive così diverso dagli altri soggetti del branco. Questo perché le leggi dell'economia hanno ridotto la politica a mera esecutrice dei suoi ordini, decretando così la fine irreversibile della Democrazia. Sicché una riedizione dei moti e della rivoluzione studentesca del 1968 non potrà mai più avverarsi. Unico dio sopravvissuto, ci dice Galimberti, è il "Denaro" divenuto il generatore simbolico di "tutti" i valori!Nel suo nome si produce sempre più tecnologia sostitutiva del lavoro umano, ragione per cui crolla la ricchezza una volta prodotta da agricoltura, artigianato e industria, attività umane per eccellenza, sostituite dalla finanziarizzazione dell'economia mondiale. Il fine unico del Denaro è riprodurre all'infinito se stesso, magari dilatando a dismisura le bolle delle principali piazze finanziarie mondiali. Tanto, alla fine, il sistema condanna solo e soltanto i più deboli a pagare i danni. E mai come oggi i giovani appartengono a quelle classi depauperate e ignorate. Finita, ci dice Galimberti, la storica contrapposizione tra servo e padrone che oggi, in un gioco perverso, stanno dalla stessa parte mentre l'altra è saldamente presidiata dai totalitarismi del Mercato globale. Finite, quindi le lotte operaie: impossibile, infatti, prendersela con un'Entità astratta, senza volto e pur tuttavia ubiquitaria. Il Mercato è il "Nessuno" di Ulisse anche se nasconde il volto vero di quell'uno percento che detiene e governa i soldi di tutti. Il "Denaro" che solo ieri era soltanto un mezzo per soddisfare bisogni e produrre beni, oggi rappresenta l'unico Fine: "fare Denaro a prescindere! [..] Il successo significa produrre con il minimo costo possibile merci che si rinnovano nel modo più rapido possibile, per una loro sempre più veloce e massiccia circolazione nel Mercato [che viene ormai vissuto come] una legge di natura! [..] L'uomo non ha mai abitato la realtà, ma solo e sempre l'interpretazione che le varie epoche ne hanno dato: prima mistica, poi religiosa, poi scientifica e ora tecnica". Ed è quest'ultimo aspetto ad aprire le porte della mente dei giovani a "L'Ospite indesiderato" di Nietzsche: il "Nichilismo passivo", che Galimberti esorta a sostituire con quello "attivo", sognatore e appassionato. Certo, poi bisogna trovare soluzioni a un mondo della formazione scolastica disastrosa, cattivi insegnanti in testa a tutti.