Lunedì, 23 Dicembre 2024 00:28

Negli ultimi anni, scienza, tecnologia e medicina hanno raggiunto livelli impressionanti

Pubblicato in Scienza

Il termine "progresso", ormai d'uso comune, tuttavia spesso assume un'accezione negativa. Se, infatti, i risultati ottenuti dai ricercatori in ambito farmaceutico e terapeutico migliorano la qualità della nostra vita, è pur vero che quasi sempre stigmatizzano la volontà umana di superare i limiti imposti dalle leggi regolanti la natura. Certo è che, in presenza di malattie neurodegenerative, un insieme variegato di patologie a carico del Sistema Nervoso Centrale accomunate da un processo cronico e selettivo di morte cellulare dei neuroni, quali l'Alzheimer, la Corea di Huntington, il Parkinson, giusto per citarne le più comuni, la comunità scientifica non può cedere il passo all'etica. Per i pazienti affetti dal morbo di Parkinson, recenti studi sembrano aprire la strada a nuove e rincuoranti prospettive. Ma cos'è il Parkinson e qual è la causa della sua comparsa? Si tratta di una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio. Fa parte di un gruppo di patologie definite "Disordini del Movimento", delle quali è la più frequente. I sintomi sono noti da migliaia di anni: una prima descrizione sarebbe stata trovata in uno scritto di medicina indiana facente riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C. ed un'altra, in un documento cinese risalente a 2.500 anni fa. Il nome è legato a James Parkinson, un farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che, per primo, descrisse gran parte dei sintomi in un famoso libretto, il "Trattato sulla paralisi agitante". Di Parkinson, deceduto nel 1824, non esistono né ritratti né fotografie. La malattia, presente in tutto il mondo e prescindente dai gruppi etnici, si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, sembra, in quello maschile. Si manifesta mediamente intorno ai 58-60 anni sebbene, all'incirca nel 5 % dei pazienti esaminati, si riscontri spesso un esordio precoce, fra i 21 ed i 40 anni. Prima dei 20, la comparsa è estremamente rara; sopra i 60 colpisce l'1-2% della popolazione, mentre negli over 85 la percentuale sale al 3-5%. Le cause non sono ancora note ma sembrano essere molteplici; la principale è sicuramente di matrice genetica in quanto vi ritroviamo associate alcune mutazioni note. Tra i geni identificati, quelli maggiormente implicati sono: l' alfa-sinucleina (PARK 1/PARK 4), la parkina (PARK-2), il PINK1 (PARK-6),il DJ-1 (PARK-7), l' LRRK2 (PARK-8) e la glucocerebrosidasi GBA. Circa il 20% dei pazienti presenta un' anamnesi familiare positiva per la malattia. Si stima che i parenti di persone affette presentino, rispetto alla popolazione generale, un rischio di sviluppare la patologia lievemente superiore. Altro fattore patogenetico importante è l'esposizione lavorativa a sostanze nocive: tossine, quali alcuni pesticidi (per esempio il Paraquat), idrocarburi-solventi (per esempio la trielina) e metalli pesanti (ferro, zinco, rame) il cui contatto è comune in specifiche professioni (saldatori). Il fumo di sigaretta sembra invece essere un fattore parkinson-protettivo in quanto ne ridurrebbe la comparsa. La mancanza di chiarezza in materia di fattori patogenetici, ha indotto i ricercatori ad attivarsi per una diagnosi precoce; risposta positiva sembra provenire dall'Italia. Uno studio condotto da un'equipe dell'università La Sapienza di Roma, ha incentrato l'attenzione sull' Alfa-sinucleina, una proteina di pochi amminoacidi generalmente localizzata nelle terminazioni presinaptiche dove si ritiene svolgere un ruolo chiave nella trasmissione degli impulsi nervosi. Nei neuroni affetti, essa tende ad aggregarsi formando oligomeri di grandi dimensioni, raggruppati in accumuli tipici detti "corpi di Lewy". Analizzando la saliva di 60 pazienti parkinsoniani (durata media della malattia: 6 anni), rapportandola a quella di 40 soggetti sani di pari età e sesso, gli scienziati hanno inoltre rinvenuto un livello totale di alfa-sinucleina mediamente più basso, unito ad un livello di alfa-sinucleina oligomerica più elevato. A fronte dei risultati osservati, hanno quindi proposto di usare "il rapporto" tra i livelli di alfasinucleina totale ed oligomerica come agente patognomico per una diagnosi precoce del Parkinson nonché per quella differenziale fra malattia di Parkinson e parkinsonismi atipici. Buone nuove anche per i pazienti cui non è stata praticata una diagnosi precoce. Un intervento complesso ed innovativo, è stato sviluppato dalla società israeliana InSightec (con oltre 500 trattamenti fra Stati Uniti, Svizzera, Corea del Sud, Spagna ed Italia) mediante l'utilizzo di ultrasuoni e messo in atto nell'Hambam Hospital della città di Haifa durante l'International Society for Therapeutic Ultrasound (ISTU). La procedura viene eseguita utilizzando onde ad ultrasuoni, con il paziente situato all'interno di una macchina MRI con addosso un particolare casco, in presenza di un chirurgo impegnato al computer dell'apparecchiatura. Dopo solo un'ora, questi può alzarsi e lasciare l'ospedale riacquisendo la quasi totalità delle funzioni vitali precedentemente alterate. I malati di Parkinson, così come quelli affetti da altre malattie degenerative, possono dunque finalmente tirare un primo sospiro di sollievo stigmatizzando che il progresso, in ambito tecnologico può sì spaventare ma, in medicina, (se adeguatamente perpetrato) quasi sempre giovare, garantendo un miglioramento delle condizioni di vita.

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