La scomparsa di Umberto Eco, spirato a 84 anni a casa sua, due passi dal milanese Castello Sforzesco, è stata per molti la dipartita di un dio. Sono mancate le parole per ricordare il professore, lo scrittore, il filosofo, l'osservatore, il semiologo, il giornalista, l'esperto di comunicazione, il mediologo, in una parola il più importante uomo di cultura contemporaneo. Ci si è sperticati nei ringraziamenti per i doni lasciati e si è rimpianto di divenire più poveri, perdendone di futuri. Nelle lunghe code di gonfaloni e di centinaia di milanesi al Castello che rendevano l'ultimo saluto ed omaggio anche alla scelta di cerimonia laica fatta da famiglia e Comune, c'è chi ha visto l'alta alma già in cielo e che l'avrebbe voluta ancora sulla terra. Immane ed universale, il cordoglio, ha raggiunto l'acme tra le attempate fan exstudentesse del Dams, che come tradizionali lagrimanti si strappavano le extension, deluse di non poter più "conoscere dal vivo chi tanto bene avevano conosciuto", almeno nelle chat dove incontravano "Umberto di 50 anni", almeno nelle fantasie bibliche. Per questo nell'occasione qualunque impertinenza, permessa dai social, è risultata particolarmente insopportabile. Quando un tal Vittorio, nemmeno troppo giovane, si è permesso di postare su Fb il 23 febbraio, h14:30 che "Umberto Eco era un pallone gonfiato, pieno di conoscenza fino a scoppiare, e stupido come un'enciclopedia.", è venuto giù il finimondo. Per tutto il giorno il criticone si è preso di tutto dalle pernacchie di Marcella agli sputi di Erika, all'imbecille di Anna, al pirla di Roberto, al di poco valore di Simona in un crescendo di insulti di invidioso, livoroso, che hanno sommerso il malcapitato, bannato e abbandonato dalle amicizie a più riprese. Come belva già sanguinante, il critico ad oltranza ha però ripreso il mouse e dagli: "il vuoto che la morte di Eco lascia nella cultura italiana è come quello rimasto dopo un trasloco sulle mensole di una libreria nel salotto di una tipica casa altoborghese di burini arricchiti : si può riempire con qualsiasi serie di volumi di una sola collana, tutti rilegati in brossura, con le copertine dello stesso colore, che svolgeranno altrettanto bene la funzione di quelli rimpiazzati, essere ostentati agli occhi degli ospiti, e mai aperti." Qualche anima gentile avrebbe accettato le critiche, utili a rendere ancora più grande lo scomparso, se queste non si fossero reiterate. Così fino a notte inoltrata, tante sono state le segnalazioni a Fb per la bannazione perpetua. Centinaia, i "hai fatto la figura del cretino", gli ignorante, gli "animale" divenuti "inumano" per rispetto agli amici a 4 zampe fino all'invocazione finale di morte "autoeliminati, distruggiti, !". Il commento finale ("Fb è un fantastico rivelatore di imbecilli") faceva il verso all'ultima intervista allo stesso Eco riportata da Domenico De Masi dove, tra l'invocazione a cultura e memoria, il web era decritto come il trionfo della "parola al cretino", la fine della democrazia che è "l'assunzione che non tutto quello che si dice va bene". Eppure l'ecolatria è un fenomeno tutto nazionale. All'estero, Eco ironicamente descritto come un "Armani dell'Accademia", era largamente considerato noioso, illeggibile e fallimentare. Così si pronunciavano Noel Malcolm, Ken Follett, Gustav Seibt e Nikolaus Lobkowicz come il Süddeutsche Zeitung, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Sunday Telegraph e l'Independent, oltre en passant l'Osservatore Romano. Sotto sotto, è diffusa l'idea che di tutta l'echiade, solo "Il nome della rosa" sia stato, oltre ad un successo, un libro leggibile. Ornai è ovvio che il Medioevo ne sia uscito strapazzato e ancora non si osa ricordarne l'elogio al terrorismo implicito. Tutto ciò non sfiora l'icona dell'intellettuale scomparso il 20 febbraio, un giovane dorato della prima Repubblica, passato con nonchalance dalla precoce assunzione in Rai alla direzione Bompiani fino all'Università ed alla 40ennale bustina di Minerva sull'Espresso, come non esistessero, per dei come lui, concorsi, prove ed esami. Era un corsaro con Vattimo e Colombo, un'avanguardista de gruppo '63 ed anche la politica democristiana si ritraeva davanti a cotanti intelletti. Poi fu tra i fondatori del Dams, questa fucina di indiani metropolitani che ci ha donato manager come la Poggiani e giornalisti come la Gabbanelli, rappresentazione fisica del rifiuto del principio di realtà da parte di tutta una classe (non) dirigente. Qui veniva diffuso il Trattato di Semiotica generale, che i giovani, non comprendendo questo "brutto, informe e di zero suggestione" manuale, mitizzarono fino alla consacrazione contestativa (nella giungla non si sente l'Eco). Gli ultimi romanzi e articoli a ciclo continuo nascosero la triste scomparsa anche di questa scienza, effimera invenzione dei rivoluzionari '60-'70. Il 20 febbraio l'antitrust ha passato la fusione Mondadori Rizzoli; anche Repubblica e Stampa si sono fuse mentre la Fiat abbandonava il Corrierone. Così oltre l'uomo, anche la sua epoca è morta. La memoria ricorda Eco non più dio ma uomo per tutte le stagioni, come la sua area di riferimento, passata in tanti anni dagli sguardi prima ad Est, poi a Ovest. C'è un filmato indicativo di un giovane Eco, pieno di sé, ma vuoto senza barba, che intervista Adorno. Ed insieme gongolano, da intellighenti sovietici, per la buona tv pubblica europea e criticano quella Usa che pretende di dare allo spettatore ciò che desidera. Qualcosa tra tanti contorcimenti è rimasto dunque, il disprezzo da Marchese del Grillo per il pensiero dell'uomo della strada, e quindi per Internet. Caro Vittorio, anonimo estensore di critiche, hai ragione tu.