Il sistema creditizio si fonda su un bizzarro meccanismo algebrico, noto come “moltiplicatore dei depositi”. La Base Monetaria, ovvero lo stock di moneta inizialmente fornita dalla Banca Centrale alle banche private viene amplificato considerevolmente nel contesto reale dalle modalità di finanziamento bancario e dalla ingente quantità di denaro trasferita da bonifici e assegni, creata dal nulla. attraverso un semplice ordine digitale spiccato dal mouse di un computer. Le somme di denaro depositate presso una banca, una volta decurtate le Riserve Facoltative e quelle Obbligatorie predisposte ex lege, vengono imprestate ad imprese e famiglie. Queste, dopo aver impiegato tali risorse, depositeranno ulteriori somme presso altri istituti di credito che le trasformeranno in nuovi finanziamenti, una volta sottratte le succitate Riserve e così via. Il risultato finale di questa sequenza di attività spontaneamente alimentate darà luogo, in un determinato momento, ad un deposito complessivo pari ad un multiplo della Base Monetaria iniziale, di gran lunga maggiore di essa. Tali operazioni non fanno altro che incentivare la proliferazione del debito diffondendone a tutti i livelli gli elementi costitutivi nello spazio e nel tempo. La fornitura di risorse finanziarie create dal nulla grazie a questo dispositivo mostra un chiaro effetto usurante per lo spessore e l’estensione dell’indebitamento complessivo così generato. Un concetto sottile e profondo per quanto concerne l’enorme potere di assoggettamento che esso implica, emerso anche nella letteratura grazie alle lucide elucubrazioni elaborate da Ezra Pound nei famosi “Cantos”. Lo stanziamento di venti miliardi di euro per rinsaldare il capitale di garanzia di MPS ed altre banche si configura, quindi, come un ulteriore strumento di amplificazione del debito collettivo studiato appositamente per garantire la conservazione di quello iniziale, sopra descritto dal moltiplicatore dei depositi. Del resto un’erogazione così cospicua come quella destinata al salvataggio delle banche non è altro che un enorme gravame debitorio imputato ai contribuenti attuali e alle generazioni future allo scopo di assicurare la diffusione del debito inizialmente prodotto dai depositi e dai finanziamenti ad essi collegati. Dunque “Debito per produrre altro Debito”, questa è l’intima essenza della manovra a supporto delle banche. Ovvero povertà cumulata in libera crescita esponenziale. Ma il problema è ben più grave dal momento che l’innalzamento del debito non è servito tanto a salvare una banca qualunque quanto, piuttosto, a suffragare un management non sempre assennato, quello di MPS, che per lunghi decenni ha avallato ad occhi chiusi e naso turato crediti facili a scadenti maestranze politiche e ai loro vassalli con il placet di regolatori bancari, autorità, istituzioni e organismi di vigilanza. Si intende dunque rassicurare piuttosto che fustigare fondazioni e banchieri circa l’enorme potere discrezionale conferito loro nell’attuazione di scelte disallineate ed azzardi inopportuni. Il salvataggio ha voluto tacitamente condividere operazioni deleterie compiute da burocrati guitti e sbracati ai danni dell’economia senza di fatto obbligarli ad imparare nulla dai propri errori. Si tratta, cioè, di un agevole escamotage per aggirare elegantemente la legge di selezione naturale proposta da Darwin, estensibile pure a banche ed istituti di credito secondo la quale, come è noto, a sopravvivere è solo il più “forte”. Non solo. L’idea di un fondo di salvataggio pronto a svincolare faccendieri e colletti bianchi da qualunque responsabilità rischia di diventare un comodo compromesso istituzionale servito su un piatto di platino ad istituti di credito e banche che volessero eventualmente emulare per ovvie ragioni l’esperienza di MPS. A tale proposito vale la pena ricordare che un piano di salvezza per le banche non è affatto prassi consueta nei paesi sviluppati. Difatti, il programma di salvataggio americano non ha teso la mano a tutti gli istituti in bancarotta e neppure a Lehman Brothers, una nota banca statunitense sorta nel 1850 lasciata fallire nel 2008. Segno questo che per gli americani chi sbaglia paga ed impara la lezione che il Bel Paese continua ad ignorare. Vengono dunque in mente i “costi opportunità” dell’indebitamento derivante dal salvataggio, ovvero le possibili destinazioni “alternative” di quei fatidici venti miliardi, ben più proficue e virtuose dal lato della domanda globale, della produzione, dei consumi e dell’occupazione. In verità ci sarebbe stato solo l'imbarazzo della scelta: dalla messa in sicurezza degli alloggi volta a fronteggiare gli eventi tellurici alla bonifica del territorio nazionale cara al fascismo, fino al rilancio dell'attività manifatturiera, ritenuta a ragion veduta motore dello sviluppo dall’economista Kaldor. Insomma, il rilancio del debito finalizzato al salvataggio di istituti bancari che per loro natura hanno prodotto altro debito si configura come una forma di sordido sciacallaggio rispetto alla quale anche l'evasione fiscale sembra essere il più veniale dei peccati.