Il lavoro giovanile può ancora rappresentare una leva strategica idonea ad intraprendere un fisiologico processo di crescita a patto, però, che si conferisca nuovo impulso e dignità al concetto di uguaglianza, usato a sproposito e silenziosamente offeso in tutti gli ambiti. Premesso che lo spirito di uguaglianza formale e sostanziale sancito dall'articolo 3 della Costituzione incontra dinamico riscontro nell'articolo 53 della Carta Costituzionale in ordine all'obbligo universale di versamento relegato al concetto di "capacità contributiva", il giovane lavoratore sembra progressivamente porsi in una dimensione economica sempre più marginalista e approssimativa, sia sotto il profilo contributivo, sia sotto quello lavorativo. Nonostante 150 anni di battaglie sindacali per l'uguaglianza e la parità dei diritti fra i lavoratori è drammaticamente evidente che la figura del giovane lavoratore si collochi attualmente in una posizione di netto sfavore, sia dal lato contributivo che da quello reddituale rispetto ad un uomo di età media ingaggiato a mezzo di contratto a tempo determinato. Al solo scopo di restituire a parole e diritti una coincidenza, disconosciuta per molti versi da operazioni di spesa pubblica miopi e sfilacciate, sarebbero auspicabili interventi multilivello a valle dei quali concretizzare il crisma dell'uguaglianza calpestato troppe volte col pretesto di omaggiarlo. Anzitutto sarebbe opportuno abbassare la pressione contributiva sul lavoro svolto e la pressione fiscale sul reddito percepito da giovani e donne con minore anzianità contributiva, a parità di lavoro erogato e di reddito realizzato dai lavoratori con maggiori entrate disponibili e anzianità. contributiva. Nell'arco vitale sarebbe in ogni caso possibile incrementare la pretesa di fisco ed enti previdenziali in funzione delle variazioni positive di capacità contributive dei giovani lavoratori intervenute nel tempo. Sarebbe d'altronde necessario sostenere delle forme di intervento finalizzate ad evitare l'assistenzialismo statico e le conseguenze disincentivanti sull'offerta di lavoro che il welfare classico ha solitamente prodotto collegando il trattamento previdenziale allo svolgimento di attività lavorative. Tali politiche a sostegno dei soggetti più deboli, giovani lavoratori e lavoratrici note con il termine "Worfare" (benessere del lavoro), adottate congiuntamente alle misure precedentemente suggerite potrebbero implementare la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro favorendo l'estensione di una pletora di benefici macroeconomici all'intero Paese. Difatti, legare l'erogazione di un sussidio all'accettazione di un piano di inserimento nel mercato del lavoro potrebbe contribuire a stimolare le giovani donne disoccupate nella ricerca operosa di un lavoro allineato alle loro attitudini (skills). Le iniziative succitate, opportunamente programmate e combinate potrebbero culminare in processi di crescita entro tempi ragionevoli e spronare i consumi in vista delle maggiori disponibilità contingenti e delle migliori aspettative percepite sui redditi futuri. Le eventuali sinergie derivanti dai succitati programmi consigliati dovrebbero insomma anteporre quelle misure e quegli apporti indispensabili allo sviluppo e al definitivo consolidamento della dignità del lavoro, sistematicamente posposti in decenni di pigrizia amministrativa, normativa ed istituzionale. Senza contare che le suindicate politiche economiche conferirebbero nuove chiavi di lettura e plausibili soluzioni al problema demografico italiano (più grave di quello giapponese) nella misura in cui definirebbero scenari socio economici più incoraggianti ed inclini alla crescita endogena. Le stesse contraddizioni imperanti a livello tributario relative al maggiore orientamento persecutorio del fisco nei confronti dei giovani professionisti rispetto ai giovani artigiani verrebbero enormemente attenuate ed alleggerite. Si rimanda al Governo la valutazione delle suddette riflessioni e l'analisi dei parametri e dei tempi entro i quali gli approcci consigliati si rivelino percorribili.